Italian Tech, una guida per la tecnologia, l’innovazione e il futuro

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Il 24 maggio 1844, alle 8 e 45 del mattino, il pittore e inventore Samuel Morse mandò il primo messaggio telegrafico della storia: aveva scelto una frase dalla Bibbia (“Quali cose ha creato Dio”) e quelle parole viaggiarono per la prima volta su delle linee elettriche da Washington a Baltimora. Se amate la tecnologia, l’innovazione e il futuro, il 24 maggio da allora è un giorno di festa. Stavolta lo festeggiamo lanciando IT, Italian Tech, una nuova testata editoriale del gruppo GEDI. Tecnicamente un content hub, nel senso che abbiamo unito i giornalisti esperti di tecnologia delle diverse testate del gruppo per provare a fare tutti assieme un lavoro migliore. Per almeno due ragioni questo era il momento ideale per farlo. La prima è la pandemia: il covid, con il suo carico pesantissimo di lutti e privazioni, è stato anche il più grande acceleratore di competenze digitali della storia. A causa dei vari lockdown, tutti siamo stati costretti a ricorrere al digitale: senza la famigerata dad avremmo chiuso le scuole; senza lo smart working il lavoro si sarebbe fermato ovunque; senza l’ecommerce e certe app sarebbe stato tutto più complicato di quanto già non fosse; senza le videochiamate non avremmo rivisto e ascoltato genitori e nonni per mesi. Insomma il digitale è entrato, è il caso di dirlo, prepotentemente nelle nostre vite per restarci.

Riccardo Luna: “Perché facciamo Italian Tech, la nuova testata che racconta tecnologia, futuro e innovazione”

Quello che è cambiato non è ancora il livello delle nostre competenze (eravamo inchiodati da anni agli ultimi posti in Europa prima del covid); ma piuttosto la nostra disponibilità verso la tecnologia. Quanti dei tantissimi che prima dicevano “io vivo benissimo senza Internet” oggi hanno capito di quante opportunità si aprono con la rete? E quanti hanno bisogno di capire meglio per evitare invece i rischi che la vita digitale inevitabilmente comporta. IT nasce soprattutto con questa missione: portare tutti a bordo della trasformazione digitale del paese che dopo anni di stagnazione sta finalmente accelerando.

E veniamo alla seconda ragione per cui questo è il momento ideale per partire: perché sta partendo il PNRR, che continueremo a chiamare Recovery Plan. Perché ci sono almeno 50 miliardi di euro che verranno spesi entro i prossimi cinque anni per fare tutto quello che non abbiamo fatto finora: collegare tutti gli italiani, comprese scuole, ospedali e uffici, a banda ultralarga; portare tutti i servizi della pubblica amministrazione in una app che già esiste, IO, con la quale poter fare tutto con un paio di clic; far sparire le file, la carta, la burocrazia che fa crescere le piccole prepotenze ai danni dei cittadini più deboli. Possono sembrare slogan, solo perché li abbiamo sentiti scandire decine di volte: ma adesso non possiamo più sbagliare. L’Unione Europea ci sta dando tantissimi soldi per arrivare al traguardo: non abbiamo alibi. Insomma, stanno per aprire centinaia di cantieri digitali: più che una trasformazione sarà una rivoluzione che va raccontata, spiegata, monitorata, affinché stavolta non ci siano ritardi o intoppi.

E veniamo alla terza ragione per cui nasce Italian Tech: per ascoltare le nuove generazioni. Per raccontarle attraverso quello che fanno su piattaforme social sulle quali noi adulti ci sentiamo inevitabilmente un po’ boomer, ma che loro abitano come se ci fossero nati. Il motivo è legato anche ai soldi del Recovery Plan: sono circa 250 miliardi di euro e sono in gran parte prestiti. Vuol dire che noi adulti li spenderemo e che i più giovani dovranno restituirli. Gli abbiamo chiesto che mondo vogliono? Stiamo facendo in modo che possano emergere, dimostrare il loro talento, realizzare i loro sogni? Per questo ci occuperemo anche di startup, delle nuove aziende che nascono con dentro una idea (e una tecnologia) con cui provare a conquistare il mondo. Sono le aziende che più creano occupazione nei Paesi in cui le startup sono considerate dalla politica e dalle grandi imprese una cosa seria e non un modo per guadagnarsi facili consensi. E tra di esse ci sono le aziende che saranno leader di mercato fra venti anni. Non è una previsione, è una statistica: è così. Qualche settimana fa Warren Buffett ai suoi soci ha mostrato l’elenco delle prime venti società del mondo, per valore di mercato, del 1989; nessuna fa parte delle prima venti di oggi. Che sono tutte startup. Ecco vorremmo che fra venti anni ce ne fossero anche di italiane. Per questo ce ne occuperemo seriamente, dati alla mano.

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