La raffica che mette l’Italia di fronte alle sue responsabilità in vista del voto al Parlamento

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La raffica del cannone del cacciatorpediniere “Caio Duilio” mette tutti gli italiani davanti alla realtà della situazione nel Mar Rosso e al ruolo che l’Italia ha assunto in questo scenario. Per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, una nave della nostra Marina è finita sotto attacco e ha distrutto un obiettivo in quello che viene definito un “ingaggio cinetico”: espressione del gergo militare a metà strada tra il tecnicismo e l’eufemismo, perché indica senza mezzi termini un’azione di guerra.

Si è trattato di un’iniziativa indubbiamente difensiva: il drone lanciato dagli Houti – stando al comunicato ufficiale – «era in volo verso la Caio Duilio». Gli ufficiali hanno calcolato che la velocità e il modo di muoversi dell’ordigno non richiedesse l’impiego dei missili contraerei, a lungo raggio ma dal costo elevatissimo. Hanno atteso che arrivasse a sei chilometri di distanza per sparare con uno dei cannoni a tiro rapido da 76 millimetri.

L’analisi del tracciato radar indica che il velivolo teleguidato dagli Houti puntava sulla nave italiana: si è trattato di un’aggressione deliberata, decisa per colpire il nostro Paese. La replica di quanto accaduto tre giorni fa con l’incursione contro la fregata tedesca Hessen, bersagliata da una coppia di droni, e la scorsa settimana contro la francese Languedoc. Unità di tre nazioni che non prendono parte ai bombardamenti sul territorio yemenita e hanno deciso di formare una squadra europea per proteggere il traffico nel Mar Rosso dagli assalti dei miliziani filoiraniani.

Questo è quadro in cui si è verificato “il battesimo del fuoco” della nostra Marina. In passato, gli Harrier della portaerei Garibaldi hanno partecipato ai raid sulle basi serbe nel Kosovo, sui nascondigli dei talebani in Afghanistan e sulle postazioni dei pretoriani di Gheddafi in Libia. Quelle però erano tutte spedizioni sotto la bandiera dell’Onu, decise con un consenso planetario. Oggi la situazione è diversa. Non soltanto per il livello altissimo di rischio: i tedeschi hanno definito la missione nel Mar Rosso «la più pericolosa di tutte». I miliziani fondamentalisti tirano fuori sempre nuove armi, inclusi mezzi innovativi come i droni sottomarini o altri di cui hanno dimostrato la micidiale potenza, come i missili balistici antinave.

A rendere diverso questo impegno militare all’estero sono anche le motivazioni. La Caio Duilio si trova lì per difendere un principio fondamentale per la vita economica della nostra società – il diritto alla libertà di navigazione – che le Nazioni Unite oggi non sono in grado di tutelare per l’opposizione nel Consiglio di Sicurezza della Russia e della Cina, i cui mercantili non vengono minacciati dagli Houti. Allo stesso tempo però il cacciatorpediniere protegge anche il nostro interesse nazionale, poiché un terzo delle esportazioni italiane passano da Suez e le aggressioni dei miliziani hanno fatto triplicare il costo del trasporto. Sono gli argomenti che il governo Meloni ha impugnato per ottenere il varo della missione europea Aspides, concretizzata grazie al pressing a Bruxelles dei due ministri Crosetto e Tajani.

Poi però dopo il via libera dell’Unione, governo e maggioranza hanno perso la rotta. I tedeschi hanno sottoposto immediatamente al Bundestag la ratifica dell’operazione in tre sedute: è stata approvata dai parlamentari in aula il venerdì pomeriggio. Pure Parigi e Atene hanno deliberato in fretta. A Roma invece il consiglio dei ministri e le Camere si sono mosse tardi: il Senato comincerà a discuterne martedì. Le navi della Ue sono tutte schierate, ma Aspides non può avere ufficialmente inizio perché manca l’autorizzazione delle Camere e quindi il comando tattico assegnato alla Caio Duilio non può entrare in funzione. Una questione che non è solo burocratica: da questo quartiere generale navigante dipende la condivisione delle informazioni sugli attacchi e sui movimenti degli alleati. E pochi giorni fa la fregata tedesca ha rischiato di abbattere un ricognitore americano, perché non era stata avvertita della sua presenza.

La lentezza della nostra macchina democratica rischia di costare caro e dimostra una scarsa concretezza delle nostre istituzioni nel considerare prioritarie le emergenze internazionali, anche quelle come il blocco del Mar Rosso che ci riguardano più da vicino. Adesso le Camere dovranno non solo approvare Aspides, ma pure il prossimo comando italiano della missione antipirateria Atalanta e della Task Force 153 composta da americani, britannici e altri dieci paesi che realizza l’operazione “Prosperity Guardian”: in pratica, tutto lo schieramento per la protezione del traffico mercantile sarà guidato da nostri ufficiali, con la presenza di tre navi militari. E’ un impegno che spingerà gli Houti ad alzare il tiro contro obiettivi italiani e che richiede una diversa consapevolezza del governo e del Parlamento: nel Mar Rosso ci stiamo assumendo pericoli e responsabilità, che non sono ordinaria amministrazione e non possono passare in secondo piano.

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