La ragazza stuprata dal branco: “Palermo è casa mia ma è peggiorata, difficile essere giovani qui”

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Non è colpa della discoteca se un diciassettenne possiede un’arma da fuoco e la usa. Non è colpa di un cantiere abbandonato se una ragazza viene violentata. L’errore che si commette parlando di degrado sociale sta spesso nella prospettiva miope con cui si argomentano le decisioni di militarizzare gli spazi e di svuotarli. Soprattutto quelli notturni, quelli della “movida”. Una parola funzionale a creare una relazione dove non c’è e che la generazione di Asia Vitale sente pronunciare solo da stampa e politica e solo all’indomani di risse, sparatorie e storie di violenze. Compresa la sua.

“Eccomi, sono Asia”

Non ha bisogno di presentazioni, Asia Vitale. Repubblica è stata inflessibile nell’astenersi dalla diffusione delle sue generalità e pure di sottostare al ricatto del click esercitabile da chi ha fame di aggiornamenti su una storia che dovrebbe essere solo giudiziaria. Così è venuta lei. E solo per essere ascoltata a quarantotto ore da quando il collegio difensivo dei sette che lei accusa di violenza sessuale ha ceduto alla stampa due testimonianze che potrebbero minacciare la tenuta della sua versione. Quarantotto ore in cui, dice, «ho percepito il pericolo in cui mi hanno messa».

Violentano una ragazza nel centro di Palermo e filmano lo stupro. Chiedeva aiuto, nessuno è intervenuto. I messaggi shock del branco

La città ha letto i titoli di alcuni giornali «che hanno scritto solo in fondo agli articoli la replica del mio avvocato», lamenta. «Il risultato — dice — è che mi urlano contro per strada. La gente non dovrebbe ricevere informazioni che non sa gestire: gli avvocati fanno il loro lavoro, ma è a discapito della mia sicurezza».

La sua e quella di Nicole: l’amica raccontata come la “complice” che ha “abbandonato” Asia quella notte e che nelle ultime ore ha visto la sua deposizione girare per i social e sulla bocca di estranei.

“Una lite cretina”

Oggi sono insieme, perché le adolescenti litigano ma poi fanno pace. Ed era «una lite cretina, abbiamo chiarito subito», dice la giovane, «mi hanno sentita in quei giorni promettendomi che non sarebbe uscito niente: oggi non direi mai quelle cose». Ma Palermo abbaia anche contro di lei. E sì, forse la città è un teatro a sé nella gestione di storie come questa, colpa anche di una conformazione urbana anomala: l’espansione edilizia non si è trascinata dietro la crescita sociale e le periferie oggi sono centrali.

“Palermo è peggiorata”

Al netto delle associazioni, posti come Ballarò o la repubblica indipendente della Vucciria restano percepiti come turistifici di giorno e come punti di partenza per cinture di locali con la birra a due euro ma che non si interrompono man mano che giunge alle boutique monomarca, dove i drink costano 14 euro. Non ci sono confini, solo comodità nel dividere la città in buoni e cattivi: «Le persone per bene sono quelle che non hanno pregiudizi e non sono violente, anche se con vite non del tutto regolari», secondo Asia, che dice: «Palermo è casa mia, ma è peggiorata».

Dalla Vucciria al cantiere, la marcia del branco nella città indifferente

Ma forse è solo la sua bolla a restituirle rabbia. Rientrata per Natale dopo una lontananza impostale dalla scorsa estate, ad Asia la città appare vuota. «So che dopo il mio fatto hanno aumentato i controlli, ma non sarebbe meglio far girare i Falchi?», si domanda. «Le volanti hanno silenziato il centro storico ma se le persone vogliono fare le loro cose le fanno lo stesso, però altrove», sostengono in coro le ragazze.

Allibite, forse, dalla scelta di far seguire ogni storia di violenza, a Palermo, con la minaccia di aumentare telecamere e volanti come fosse solo un problema di ordine pubblico. Sotto i fanali l’oscurità, cantava Rino Gaetano.

“I prof non capiscono”

Perché se è vero che una parte della Generazione Z è politicamente impegnata, dai racconti delle due ragazze trapela una situazione parallela e di disagio che nessuna telecamera può vedere: violenza di genere normalizzata, spaccio normalizzato, gravidanze precoci, disinformazione e abbandono scolastico normalizzati. Asia la scuola l’ha finita, Nicole no. «Non c’è attenzione da parte dei professori né vicinanza nel linguaggio e nei contenuti», spiegano che tra bullismo e disinteresse non ne vale la pena.

“Chiara Ferragni? Non ci interessa”

Nella bolla di Asia e Nicole «c’è chi spaccia per il giubbino firmato che vede sui social, ed è sbagliato, ma anche chi deve mantenere la famiglia, come i pregiudicati, che lavoro non ne trovano: che devono fare?».

Far west Palermo

Una notte di terrore per l’universitario ventenne sequestrato e derubato a Palermo

Ragazzi fuori 2.0: Marco Risi nel 1990 suggeriva che quasi quasi si sta meglio in galera. All’epoca sembrò un film pessimista. Oggi i gruppetti postano balletti su TikTok e vivacchiano, sempre secondo le loro regole autodiscriminanti: non si informano volontariamente e grazie all’algoritmo non intercettano contenuti social di natura politica o sociale. Altro che Chiara Ferragni: «Non è un nostro mito: è nata ricca, non la seguiamo». Le due ragazze sanno a malapena chi sia, Nicole non usa i social, Asia segue cantanti. Sono l’espressione perfetta della teoria delle bolle, appunto. «Le cose su di me le sanno da TikTok», dice Asia, riferendosi ancora alla sua bolla. E i ragazzi del giro sono «cause perse», dicono. E dal pugno facile: la pretesa di controllo sulle fidanzate sfocia facilmente nelle percosse. Motivo? «Gelosia, se ti trucchi, se hai amici maschi», dice Nicole.

“I ragazzi sono liberi, noi no”

Asia butta gli occhi al cielo, contrariata. «Le famiglie possono anche essere buone», sottolinea Asia, «ma, senza fare di tutta l’erba un fascio, è tra amici che stabiliscono regole e comportamenti. La scuola dovrebbe fare educazione sessuale, insegnare le relazioni e la parità». Ecco il corto circuito: giovani emancipate e ribelli coabitano con giovani convinti di poterle, e doverle, domare.

Ed entrambi hanno pochi strumenti per farsi ragione. «Forse a sud di più», aggiunge Asia, «le ragazze hanno paura di indossare abiti corti e nascondono il numero di partner. I ragazzi sono liberi, anche di esplorare la loro sessualità». Resiste lo spauracchio dello stigma sociale, «basta niente e sei la poco di buono».

“Tutti chiedono: a chi appartieni?”

Denunciare sarebbe l’unica via per la libertà. Ma c’è la dipendenza economica, mescolata alla cultura del possesso: a chi appartieni? a Palermo si chiede ancora. «Guarda me», chiude Asia Vitale, «in un mondo in cui nessuna parla, io che ho provato più volte ad avere giustizia vengo screditata, insultata e chiamata pazza».

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