Michele Misseri lascia il carcere, ma non va nella casa di Avetrana in cui fu uccisa Sarah Scazzi. Le prime parole: “Ero più libero dentro”

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AVETRANA (Taranto) – Michele Misseri è un uomo libero. Alle 7,17, sotto un cielo carico di pioggia, l’agricoltore di Avetrana ha varcato il cancello elettrico del carcere di Borgo San Nicola, alla periferia di Lecce, ma ha evitato di rientrare ad Avetrana, nella villetta di famiglia, al civico 22 di via Deledda. Accompagnato dal suo avvocato, Luca La Tanza, ha evitato il contatto con telecamere e taccuini e ha affidato allo stesso legale le sue prime parole: “”Mi sentivo più libero dentro, fuori mi sento invece incarcerato”. Espletati tutti gli adempimenti burocratici all’interno del penitenziario, Misseri è salito a bordo di una Jeep Renegade bianca. Settant’anni il mese prossimo, è visibilmente ingrassato e ha un paio di baffi.

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Per il momento vuole starsene tranquillo. Almeno per due o tre giorni. Poi Michele – racconta chi lo conosce bene – potrebbe cominciare a parlare e riallacciare così i rapporti con la stampa, che neppure durante il periodo in carcere si sono in realtà interrotti del tutto. Anche in cella, Michele ha continuato a scrivere lettere fatte recapitare ad alcune emittenti televisive per fornire le sue diverse versioni sull’omicidio della nipote Sarah Scazzi – il 26 agosto del 2010 – disattendendo i consigli di chi gli ha suggerito, invece, di starsene buono. Ma Michele è stato sempre così: istintivo e forse un po’ ingenuo nella vita di tutti i giorni così come nel corso della sua detenzione durata quasi sette anni, giorno più giorno meno. “Fisicamente sta bene – ha spiegato l’avvocato La Tanza – è molto provato a livello psicologico. Per il resto dovrà riprendere una vita fra virgolette normale, adesso”. Mi ha palesato la volontà per un pò di giorni di non parlare con nessuno”.

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Era il 20 febbraio del 2017 quando Misseri è entrato in carcere. In cella si è dimostrato un detenuto modello in tutti questi anni. Affrontava le giornate dedicandosi a piccoli lavoretti, attività di giardinaggio e ha dato una mano anche in cucina. Proprio per la buona condotta ha beneficiato di uno sconto di pena sostanzioso: in totale sono stati 684 i giorni che il tribunale di sorveglianza gli ha detratto dal conto complessivo. Confinato nel reparto destinato ad accogliere i detenuti comuni, non ha mai dato problemi sul fronte disciplinare: sempre disponibile con i compagni di cella e collaborativo con gli agenti di Polizia penitenziaria, anche se solitamente preferiva trascorrere la detenzione isolato e senza dare troppa confidenza.

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Solo e sconsolato in carcere, così come lo sarà in questi primi giorni da persona libera. Nessun familiare si è esposto per riportarlo a casa. D’altronde, i rapporti con la più grande delle due figlie, Valentina, che nel frattempo si è trasferita nel Nord Italia, sono cordiali ma centellinati. La donna, peraltro, ha sempre perorato la tesi dell’innocenza di mamma Cosima e della sorella Sabrina, condannate entrambe all’ergastolo. E l’incombenza di riportare Michele a casa è stata gestita dal suo legale.

Avetrana ha atteso “zio Michele” con apparente indifferenza. “Lo sapete che oggi Michele sarà qui con voi?”, abbiamo chiesto più e più volte ad alcuni cittadini in piazza. Ma in tanti hanno fatto spallucce generalizzando con un banale “non sono problemi nostri”. Il sindaco, Antonio Iazzi, in tutti questi giorni aveva chiesto a gran voce di evitare troppo clamore per questa scarcerazione. La strada è stata chiusa al traffico per evitare assembramenti e il raduno di cittadini, curiosi e giornalisti. Un’ordinanza è stata emanata dalla Polizia locale proprio per consentire all’agricoltore di arrivare in totale tranquillità.

“Abbiamo un obbligo morale verso le vittime, ma anche nei confronti di un nostro concittadino come Michele per garantirgli un rientro in sicurezza. Questa cittadina ha già pagato un conto salato con questa vicenda e vorremmo che di Avetrana si parlasse di altro”. Per qualche giorno, però, il circo mediatico ha piazzato le sue tende con buona pace del sindaco e dei suoi cittadini. E Vincenzo Romano, un amico d’infanzia di Misseri, si è detto “contento” per il ritorno in libertà: Gli ho scritto più volte, quasi ogni mese, mi ha raccontato la sua vita in cella, che cucinava per gli altri detenuti. Nelle lettere non parlavamo della vicenda giudiziaria, anche se lui ha ripetuto in televisione di essere il colpevole. Lo sto aspettando, se vuole può venire a casa mia”. Nelle lettere, Missderi gli “chiedeva dei suoi terreni. Quando arriva qui – ha detto Romano – si occuperà prima di tutto di sistemare la casa. Penso che voglia venire a vivere qui. Mai una parola comunque su moglie e figlia. Diceva che era stato male in carcere. Ma ora potrà tornare a lavorare nei campi, a cui continua a tenere molto”.

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