“Mio figlio Lorenzo morto a 5 anni di tumore a Taranto, in testa aveva polvere di minerale. Nel processo ai dirigenti ex Ilva chiedo giustizia”

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Mauro Zaratta, 46 anni, ex dipendente della Marina, ora impiegato in un’azienda privata ma soprattutto padre di Lorenzo – “Lollo”, per tutti, morto a cinque anni per un tumore al cervello – giovedì 22 febbraio in aula è stato primo testimone nel processo nei confronti di 6 ex dirigenti nel quale si stabilirà se la morte del figlio sia stata causata dalle emissioni dell’ex Ilva. Gli imputati rispondono di concorso in omicidio colposo.

“Nostro figlio Lorenzo ucciso dai veleni Ilva respirati quando era in grembo”, in Tribunale il dramma della famiglia Zaratta

Un’udienza diversa dalle altre.

«Emotivamente è stata un’esperienza molto forte, siamo andati a ripercorrere tutto quello che è stato, dall’età gestazionale di Lorenzo sino al momento in cui è andato via».

Ecco, qual è stato il decorso della malattia?
«Tra il primo e il secondo mese ha iniziato a perdere peso ed era una perdita importante, non era il calo ponderale. Aveva vomiti a getto. Poi il dottor Forleo, suo pediatra, ha avuto un’intuizione e gli fece fare un’ecografia. Poi ci mandò a Bari a fare la risonanza magnetica da cui uscì fuori la lesione cerebrale».

Da lì il calvario.
«È stato un periodo scandito da quasi una trentina di interventi dovuti ai danni collaterali del tumore e a varie problematiche da risolvere, dalla chemioterapia alla peg (Gastrostomia Endoscopia Percutanea) per mangiare».

Fu allora che il caso salì alle cronache.
«Nel luglio 2012 scesi in corteo con un cartello in cui c’era una foto di Lorenzo sul letto di rianimazione e scrissi: “Mio figlio, tre anni, cancro. A quanti ancora?” Non mi ero mai permesso di associare la patologia di mio figlio all’inquinamento di Taranto. Però poco prima uscì lo studio Sentieri che diceva che l’inquinamento a Taranto causava patologie oncologiche pediatriche e mio figlio era un paziente pediatrico oncologico. Volevo far vedere il volto di un bambino che soffre, cosa provoca nelle famiglie un dolore simile».

Poi Lorenzo morì.
«Quando Lorenzo è andato via mi contattarono e mi chiesero di fare degli esami specifici su campioni biologici del tumore. E lì venne fuori che Lorenzo aveva in testa tantissima polvere di minerale, cose che non dovevano esserci».

Da allora com’è cambiata la vostra vita?
«Non siamo più a Taranto, che ritengo una città non sana, ma a Firenze, uno dei tanti posti in cui siamo stati per le cure di Lorenzo».

Intanto su Taranto pende ancora il nodo ex Ilva.
«Io al tempo parlai anche con l’ex ministro Luigi Di Maio e gli feci presente cosa questo inquinamento ha provocato nella mia famiglia e allo Stato. Lorenzo ha vissuto cinque anni ed è costato qualcosa come un milione e mezzo al sistema sanitario nazionale».

I medici lanciano ancora l’allarme sulle patologie infantili in città. Come guarda a queste notizie?
«È palese che la volontà politica sia di tenere aperta quella fabbrica valutando che quello che può causare sono danni collaterali accettabili».

Accettano il rischio?
«Se non fanno nulla per cambiare le cose, ma fanno di tutto per portarla avanti, è palese che lo facciano pur avendo preso coscienza dei numeri e dei danni che provoca quella fabbrica considerandolo un danno accettabile».

C’è la possibilità di un cambiamento?
«Solo se parliamo delle persone e non dei numeri. Fino a quando si parla di numeri siamo abituati: siamo abituati a statistiche e percentuali, ma quando alle statistiche associ un nome, un volto, una data di nascita e una di morte le cose cominciano a cambiare o se non altro hanno un impatto differente».

È quello che auspicate per Lorenzo?
«L’auspicio, è che, se dovessimo riuscire a dimostrare che la patologia di Lorenzo è correlata all’inquinamento di Taranto, grazie alla storia di Lorenzo tanti altri bambini non si ammaleranno più».

L’accertamento della responsabilità penale renderebbe giustizia?
«Una vera giustizia per Lorenzo non ci sarà mai».

Eventuali condanne che effetto avrebbero?
«Se dovessero esserci le condanne, sfido chiunque a lavorare ancora in quella fabbrica sapendo le ripercussioni personali che questo può avere».

Cosa vi aspettate dal processo?
«L’animo che spero governi il giudizio è l’amore per la verità e la giustizia. Non è il giustizialismo, è giustizia: se veramente esiste una correlazione dobbiamo fermarla».

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