Morto Don Walsh, l’ultimo protagonista dell’immersione record del batiscafo Trieste nella Fossa delle Marianne con Jacques Piccard

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Il 23 gennaio del 1960 toccò la Fossa delle Marianne, 10.916 metri di profondità. Di quella storica e incredibile missione oggi non rimane più nessuno: Jacques Piccard morì nella sua Svizzera il primo novembre 2008; pochi giorni fa, alla veneranda età di 92 anni, è morto anche Donald Walsh. Per la precisione, il 12 novembre scorso nella sua casa di Myrtle Point, in Oregon (Usa).

In quella missione un ruolo importante lo ebbe l’Italia: il batiscafo si chiamava, non a caso, “Trieste”. La Us Navy lo acquistò nel 1958 pagandolo 250 mila euro ma era stato progettato da Auguste Piccard (padre di Jacques) e realizzato in Italia: il serbatoio nei Cantieri Riuniti dell’Adriatico, mentre la sfera fu forgiata nelle acciaierie di Terni; l’oblò fu invece realizzato nelle officine Galileo di Firenze. Al Cantiere navale di Castellammare di Stabia, infine, la sfera fu saldata allo scafo e il batiscafo fu varato il primo agosto del 1953, 70 anni fa. Lo stesso anno raggiunse la profondità prima di 1050 metri al largo di Capri e poi di 3.150 metri nelle prove al largo dell’isola di Ponza. Per quasi cinque anni il Trieste, che prese il nome dalla città nella quale i Piccard trovarono accoglienza e disponibilità nel realizzare il loro progetto, restò ancorato nel cantiere navale di Castellammare di Stabia, eseguendo una quarantina di immersioni, fino al 1958 quando fu acquistato dalla Marina Usa.

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Tre anni dopo l’impresa più importante, nel 1963, il Trieset fu ritirato e poi esposto nel Museo navale di Washington, dove si trova attualmente.

La notizia della morte di Walsh è stata data dal figlio Kelly al New York Times, da dove è poi rimbalzata in tutto il mondo.

Il quotidiano statunitense sottolinea che quando Kelly Walsh ha saputo della morte del padre, stava tenendo una conferenza su una nave da crociera nel Pacifico proprio sulla storia delle esplorazioni del Challenger Deep, compresa la sua, appunto. “Era il momento e il luogo perfetto per un omaggio all’eredità di mio padre”, ha scritto in un’email. “La gente era in lacrime”.

Quell’immersione del 23 gennaio 1960, tenuta segreta nel caso in cui fosse fallita, sembrò segnata fin dall’inizio da una serie di problemi, ma la testardaggine di Piccard e Walsh ebbe la meglio sugli ostacoli e la malasorte. Poco prima della discesa nell’abisso, le onde imponenti del Pacifico occidentale avevano danneggiato o portato via l’attrezzatura essenziale, poi andò perduto il telefono di superficie e, un misuratore di corrente penzolava da alcuni fili.

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Il tachimetro che avrebbe dovuto registrare la velocità di discesa dell’imbarcazione era inutilizzabile. Come in ogni romanzo d’appendice, infine, pioveva. Ma il tenente Walsh, 28 anni, diventato sommergibilista perché la scarsa vista non gli aveva consentito di fare il pilota, e Jacques Piccard, si arrampicarono ugualmente sulla sfera personale di due metri del sommergibile, bagnati fradici e si calarono all’interno. Negli stretti spazi, però indossarono abiti asciutti.

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