Nel delitto di Nada Cella una prova dimenticata: il bottone insanguinato. Le rivelazioni del frate e gli errori dell’inchiesta del 1996

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«Marisa Bacchioni la madre di Marco Soracco mi disse che il figlio era innocente perché l’autrice dell’omicidio era una donna, proprio quella che si era invaghita del figlio. Sono certo che lei non si sia mai confessata totalmente con me, qualcuno le aveva detto di mantenere il più assoluto riserbo sulla vicenda…ritengo che si riferisse ad alti prelati con cui si confidava …la famiglia Soracco aveva molti legami con la curia».

Il delitto

E’ il 28 giugno del 2021 quando il frate cappuccino Lorenzo Z., spiegando, non senza difficoltà, di parlare al di fuori del segreto confessorio, rilascia queste dichiarazioni alla pm genovese Gabriella Dotto.
Così, un quarto di secolo più tardi, si scopre che già poche ore dopo la mattina del 6 maggio del 1996, quando la 25enne Nada Cella venne massacrata nel suo ufficio di segretaria dello studio di via Marsala del commercialista Marco Soracco a Chiavari, c’era già una precisa, univoca, dettagliata pista su chi potesse essere l’assassino, anzi l’assassina.
Solo un eventuale processo potrà dire se quella di Annalucia Cecere, 55anni, la donna indagata che da due anni vive con addosso il terribile marchio d’infamia, fosse davvero la pista buona, ma quello che è certo è che una serie incredibile di silenzi, omertà, segreti inconfessabili, e clamorosi errori seppellì all’epoca la strada maestra su cui investigare.

Annalucia Cecere

Lo si apprende oggi, leggendo le 95 pagine con cui il gip Angela Maria Nutini ha fissato al 15 febbraio l’udienza preliminare nei confronti di Annalucia Cecere, accusata di omicidio volontario e difesa dagli avvocati Giovanni Roffo e Gabriella Martini, e poi nei confronti di Marco Soracco e dalla madre Marisa Bacchioni accusati di favoreggiamento e false dichiarazioni e difesi dall’avvocato Andrea Vernazza.

I bottoni

Nell’ufficio, in una chiazza del sangue di Nada viene trovato un bottone «insieme a insieme a un filo rosso che si trovava ancora attaccato al bottone, a un punto da pinzatrice, a un seme e ad un ciuffo di capelli». La polizia che indaga sul caso dedica grandi sforzi per capirne la provenienza. Ma il 28 maggio i carabinieri di Chiavari su indicazione di una vicina sospettosa effettuano su richiesta del pm Filippo Gebbia una perquisizione in casa di Annalucia Cecere. La giovane donna con una complessa storia famigliare alle spalle e un presente di lavori precari, conosce Soracco, i due sono usciti insieme alcune volte per andare a ballare, lei è stata almeno una volta nel suo studio e probabilmente spera in una relazione duratura. Ma polizia e carabinieri in quei giorni non conoscono questi risvolti perché né Soracco che pure viene sospettato, indagato e interrogato, né sua madre o la zia Fausta hanno ritenuto di doverli raccontare.

Il bottone trovato sul luogo del delitto

I carabinieri scoprono in casa di Cecere 5 bottoni che sembrano uguali a quello trovato sul luogo del delitto. Quattro militari sentiti oggi dalla pm «i marescialli Leo, Mariotta, Rosso, Scano ricordano di aver esultato al ritrovamento dei bottoni». Caso risolto, pensano. Invece, la comparazione viene fatta solo con le foto e non ci si accorge che il bottone insanguinato è diverso perché manca una cornice di plastica che oggi la procura sapeva esistere grazie alla consulenza di Stefano Cannara, titolare del Museo del bottone di Sant’Arcangelo di Romagna. Così, scrive la pm «i bottoni vengono incredibilmente restituiti e cinque giorni dopo la posizione di Cecere archiviata».

Sottovalutazione

La pm annota un altro retroscena surreale: «Il dottor Pasquale Zazzaro, dirigente del commissariato e l’ispettore Ramundo sono risultati invece sorprendentemente all’oscuro del ritrovamento dei bottoni… la sottovalutazione di ogni informazione sul conto della Cecere da parte della polizia, nella convinzione che i carabinieri avessero sviscerato ogni possibile informazione sul conto di lei, sono alcuni degli elementi che determinarono lo svilimento della straordinario ritrovamento dei bottoni». La pm Dotto in altra pagina evidenzia ancora che gli accertamenti su Cecere « si conclusero senza che la Polizia impegnata in via principale nella attività investigativa, abbia mai avuto modo di conoscere, fino ad oggi, gli elementi acquisiti in quella particolare porzione di indagine». Ma la pm Dotto, qui come altrove non si spinge mai a criticare chi coordinava le indagini di polizia e carabinieri ed era quindi in possesso di tutte le informazioni, il pm Filippo Gebbia. Sul collega cala un velo di pietoso silenzio.

Le confidenze di Nada allo zio

La procura – che si è avvalsa del fondamentale lavoro della criminologa Antonella Pesce Delfino consulente della famiglia di Nada assistita dall’avvocata Sabrina Franzone – ipotizza oggi che la segretaria venne uccisa da Cecere per gelosia ma che il delitto si trovò avvolto da una rete di segreti che lo hanno avvolto come una rete di protezione. In particolare gli inquirenti pensano che Soracco – che sarebbe entrato in studio mentre Cecere era ancora nella stanza – e la madre non volessero che si sapesse della relazione del professionista con una donna ritenuta non all’altezza per via delle sue umili origini, e soprattutto che indagini approfondite portassero alla luce affari non precisamente puliti. Tutti aspetti che Soracco ha sempre negato. Oggi si scopre, però, che anche se con un incredibile ritardo, un anno dopo il delitto Saverio P. zio di Nada andò alla polizia per raccontare le confidenze della nipote: «Nada gli parlò di due problemi “il primo era relativo a delle grosse somme di denaro, contenuto in buste, che lei aveva notato girare in ufficio…il secondo riguardava le avances che riceveva in maniera pressante dal titolare” e allo zio disse anche che il commercialista aveva compreso che lei aveva scoperto l’esistenza di giri di denaro sospetti e che conseguentemente le aveva detto che non le avrebbe più consentito di lasciare l’ufficio».

Marco Soracco

Il giallo scritto dalla zia di Soracco

Altre informazioni utili gli inquirenti li hanno trovati in una perquisizione recente nell’alloggio, sopra lo studio, dove vivono Soracco e la madre e dove abitava anche la sorella di lei Fausta « è stato rinvenuto il manoscritto riconducibile alla sorella Fausta intitolato “storia di un delitto quasi perfetto” verosimilmente redatto nel corso degli anni fino all’anno 2000». In alcune pagine si parla della vicina che vide fuggire dalle scale una donna ma non lo disse «alla polizia per paura di rappresaglie» scrive Fausta Bacchioni.

Le armi del delitto

Una serie di esami avrebbe finalmente individuato «la pinzatrice e il fermacarte come possibili armi del delitto». Altro mistero, la pinzatrice verde non è presente nelle foto della scientifica scattate quel giorno ma ricompare dieci giorni dopo.

Lo stesso modello di pinzatrice

La pinzatrice sparita

Retroscena surreale: «Il dottor Zazzaro ha ricordato che venne ritrovata proprio tra le attrezzature della polizia scientifica, preso in prestito e usato durante le attività del sopralluogo, evidentemente avendo escluso la rilevanza per le indagini magari perché trovato in un cassetto e certamente pulito». La procura ritiene probabile che i due oggetti vennero ripuliti, come fece anche per il sangue sul pavimento dalla madre di Soracco.
Molti elementi raccolti e molti errori ammessi ma Cecere e Soracco in questi 27 anni, nonostante alcune evidenti contraddizioni, non ha hanno mai ammesso alcun tipo di responsabilità.

La scena del delitto

Le intercettazioni di Cecere

Qual è la vera Annalucia Cecere? La donna che nel maggio 1996 uccise Nada Cella ed è sfuggita alla cattura grazie ad una serie di silenzi omertosi e incredibili svarioni investigativi, oppure la donna che da due anni, da quando è stata raggiunta da un avviso di garanzia, vive come un’appestata?

I femminicidi

Intercettata in questi due anni dalla polizia ad un’amica dice: “’non c’è stato giorno da allora che non ci penso …quando accendo la televisione ci sono due o tre donne uccise mi viene la pelle d’oca sudo freddo e inizio a stare male perché penso che quello è stato uno forse dei primi femminicidi dell’epoca. Questa situazione mi ha segnata mi ha provocato dei danni grossissimi a livello emotivo».
Distrutta ma furiosa nei confronti di Marco Soracco, il commercialista di cui secondo la procura di Genova sarebbe stata innamorata o comunque interessata a sposarlo per assicurarsi una vita agiata, al punto di uccidere la segretaria Nada per una gelosia oltretutto mal risposta visto che la ragazza mal sopportava il suo datore di lavoro.

“Ho solo ballato con lui”

E con l’ispettore che nel 2021 la convoca in questura per un interrogatorio si sfoga così: «Io ho fatto l’errore di andare a ballare una volta una sera il liscio e c’era anche sto commercialista e basta. Perché non mi lasciate stare? Arrestate lui, è lui che l’ha uccisa….che ne so io, cosa vuole che ne sappia, veniamo lì, però già mio marito ha iniziato a dire ‘chissà cosa hai combinato quando abitavi a Chiavari’. Già non mi parla più, ho detto e cosa ho combinato Lorenzo, se fossi una assassina m’avrebbero messo già in galera».
Va ricordato che nei confronti di Cecere grava una importante serie di testimonianze, anche se rilasciate molto tempo dopo i fatti, oltre al ritrovamento dei cinque bottoni che ora la procura è certa essere dello stesso tipo di quello ritrovato sul luogo del delitto. Però tutta una serie di esami sui reperti dell’epoca non hanno dato riscontri.

Cerca informazioni sul Dna

La pm Gabriella Dotto evidenzia però come Cecere dopo aver saputo dai media che erano in corso esami sul sangue recuperato all’epoca e su alcuni capelli abbia telefonato ad un’amica infermiera per chiedergli alcune informazioni: «una curiosità, tu sei dottoressa hai una laurea e tutto. Quel cazzo di Dna è una cosa lunga?…perché per esempio non so queste due ragazze che hanno incolpato della morte della mamma e anche del fatto di Bossetti Marco …che aveva, ucciso la piccola Yara si dice che erano state trovate delle cose di Dna…nei capelli per esempio di venti anni, venticinque anni fa…?».
Naturalmente le intercettazioni possono anche essere lette dal punto di vista di un’innocente che cerca di informarsi sui tempi di un esame da cui dipende il suo futuro.
La procura di Genova però nel documento di fissazione dell’udienza preliminare – il 25 febbraio – nei confronti di Cecere e di Soracco e della madre di lui, prova a darsi una spiegazione sia sulle intercettazioni di Cecere sia sulle dichiarazioni rilasciate a verbale da Soracco e dalla madre nel corso degli anni, con omissioni e poi parziali ammissioni, rivelazioni oppure negazioni di situazioni ritenute oggettive dagli inquirenti.

Le conclusioni della pm

«L’impressione che emerge dalla lettura complessiva delle intercettazioni – scrive la pm Dotto – anche considerando la convinzione degli interessati di essere intercettati, è quella che costoro si siano da tempo costruiti una verità alternativa, sostenuta e proposta ad oltranza, e che anche oggi questa venga riproposta a costo di smaccate e incontestabili contraddizioni. Certamente, come evidenziato anche nelle diverse comunicazioni di polizia giudiziaria, dal contenuto delle conversazioni della madre del commercialista, emerge una memoria del tutto integra e impeccabile sui fatti accaduti a quei tempi, nonostante l’età…. E’ del tutto evidente che l’accertamento della responsabilità della Cecere avrebbe comportato un qualche gravissimo rischio di coinvolgimento anche per il figlio».

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