Pasqua Ortodossa: niente feste nell’Ucraina invasa. E dopo i missili Odessa piange mamma Valeria e la piccola Kira

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ODESSA – Non c’è stata la messa a mezzanotte, le candele accese nell’attesa della Resurrezione, la veglia notturna che precede la Pasqua ortodossa. Non qui, non a Bucha, e in nessuna chiesa ucraina nessun Pope ha potuto celebrare la festa come si deve. È troppo pericoloso, e poi c’è il coprifuoco ovunque. Dunque, la mattina presto, ecco arrivare alla cattedrale della Trasfigurazione i primi fedeli, con il cestino di pane e uova da benedire, nel grande tempio bianco e oro, i candelabri scintillanti di luci, i santi dipinti sulle pareti. È stata una Pasqua di lutto, macchiata per sempre dal sangue degli otto morti di sabato, uccisi dai missili Kalibr sparati dal Mar Caspio su Odessa. E altre vittime ci sono state a Kharkiv, e due bambini morti nel Donetsk, e altri a Mariupol tuttora battuta dai bombardamenti. La tregua invocata persino da papa Francesco non c’è stata, è stato un giorno quasi uguale agli altri, sirene comprese.

La città si sente ormai assediata, i russi hanno schierato nel mar Nero 20 navi e sottomarini con missili da crociera. Qualcuno è andato a fare una piccola passeggiata nel parco affacciato sul porto, da lì si vede il mare aperto, da lì arriva la prima minaccia. E i missili sono la paura numero uno, talvolta intercettati dalla contraerea, talvolta no, proprio come è successo l’altro giorno. Sei sparati, due annientati in cielo, due su obiettivi militari non meglio definiti, due su condomini. E al quarto piano del palazzo colpito nel quartiere Vuzivskiy, abitava la famiglia Glodan. Yuri, che è chef e pasticciere, la moglie Valeria, la figlia Kira di 3 mesi. Ospitati nell’appartamento della mamma di Valeria, perché la loro casa è troppo vicina all’aeroporto, e quindi avevano pensato di trasferirsi verso il centro.

Il Kalibr ha centrato il condominio, sfondando molti appartamenti, e negli otto morti attuali ci sono la bambina Kira, la madre Valeria, la nonna. Yuri si è salvato perché era appena sceso per comprare qualcosa nel negozio che c’è all’angolo. Lo schianto terribile ha costretto lui e tutti quanti erano in strada a cercare riparo, poi a guardare su verso la casa. Valeria era nata a Kherson, una città ora conquistata dai russi. Faceva la pierre per alcune aziende di Odessa, una città antica e insieme moderna dove i giovani amano vivere, piena di locali e negozi per lo più sbarrati, da due mesi. “La mia vita è cambiata, ho raggiunto un nuovo livello di felicità”, aveva scritto appena nata la figlia. Mancava un mese alla guerra, tutti erano ancora felici. Preoccupati, ma ancora felici.

Odessa bombardata: i razzi nel cielo e i palazzi colpiti

Ieri Yuri le ha detto addio con alcune foto, la sua mano che racchiude la piccolissima mano di Kira, e Valeria incinta, Valeria che sorride con la figlia appoggiata sulle ginocchia. “Ora siete nel regno dei cieli, e sarete sempre nei nostri cuori”, ha scritto. E quante altre donne giovani come Valeria, ieri mattina sono passate in cattedrale per la benedizione, inginocchiate davanti alle icone antiche, volti neri incorniciati dall’argento di secoli fa. È stata una mattina mesta, con il prete che spargeva acqua benedetta sui cestini della tradizione, sulle donne e gli uomini angosciati per una guerra che non finisce, sui bambini tristi. Non c’è stata gioia, quando il Pope ha pronunciato il “Christòs voskrés”, dio è risorto. La fila davanti all’immagine dell’arcangelo Michele, con la spada fiammeggiante, e a baciare i piccoli altari della devozione. Poi è risuonato un altro allarme e tutti se ne sono andati a casa.

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