Porta alla polizia la prova degli stupri conservata in un barattolo e fa arrestare il patrigno: abusava di lui da quando aveva 11 anni

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Aveva 11 anni la prima volta che il suo patrigno ha allungato le mani su di lui, 15 quando ha denunciato gli abusi al Telefono Azzurro. Grazie al suo coraggio lo scorso 7 novembre l’uomo è stato condannato per violenze sessuali dalla V corte penale del Tribunale di Roma presieduta dalla giudice Maria Bonaventura a 8 anni di carcere e al risarcimento di 20 mila euro per i danni psicologici provocati al giovane.

Il protagonista di questa storia ora ha 17 anni ed è, come lo ha definito la sua avvocata Silvia Oddi, «un urlo nella notte».

«Credo che questo sia il momento giusto per dare per la prima volta visibilità a un ragazzino», ha detto la legale, nonché curatrice legale della vittima, alla corte.

Kevin, nato da una relazione della madre precedente a quella con l’imputato, ha saputo che quell’uomo non era il suo padre naturale quando era già grande.

«Gli è stato detto anche quello con una violenza inaudita perché stava facendo dei colloqui per un disturbo dell’apprendimento, quando la madre ha detto senza nessun riguardo “No, lui non è il figlio di mio marito”».

Kevin non ha i documenti, non è nello stato di famiglia. È invisibile. Continua a esserlo anche quando iniziano le violenze, durante un viaggio in Calabria.

La madre, ha riferito il ragazzo agli psicoterapeuti da cui è seguito, non si è mai resa conto o «non ha voluto vedere» cosa accadeva in casa per quattro anni.

Gli abusi avvenivano settimanalmente, a volte anche più di una volta nell’arco dei 7 giorni. Ma Kevin non ha denunciato per paura di quello che ha definito, anche di fronte ai giudici, «un uomo violento e pericoloso, per i miei fratelli e per mia madre». Questo fino al 2021.

È allora che il quindicenne non riesce più a sopportare e rivela tutto prima al fidanzatino dell’epoca e poi a un’amica.

Il ragazzo lo invita a denunciare e a conservare le prove biologiche di quanto avviene in un barattolo. La ragazza, invece, gli consiglia di rivolgersi al Telefono Azzurro.

Nella chat con l’operatore del 114 la vittima racconta alcuni degli episodi di violenze sessuali subite. E quelli di violenza psicologica da parte della madre, che lo chiama “falso”, “ladro” e altri epiteti offensivi.

Rivela anche i suoi timori relativi al fatto che teme l’eventualità che ai suoi fratelli capiti ciò che sta subendo lui.

Scatta la denuncia, Kevin viene allontanato dalla sua famiglia. È in quel momento che consegna alle forze dell’ordine il barattolo con le prove organiche che ha conservato nel suo comodino. Dopo i riscontri dei Ris sul dna del contenuto di quel vasetto il patrigno viene arrestato.

Sugli esiti delle analisi scientifiche e sui racconti «caotici della parte offesa» la difesa ha basato la sua arringa, ma la corte ha deciso di condannare l’uomo.

Kevin vive ora in una casa famiglia, lì è supportato da operatori e in cura con psicoterapeuti. Lì per la prima volta, non è più invisibile.

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