“Potete lavarvi al bar con una bacinella”, la denuncia di Marina, sfrattata a Natale dal comune di Fiumicino

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Sfrattata due volte in sei mesi e lasciata dai servizi sociali del comune di Fiumicino senza casa a Natale: “il dirigente dei Servizio sociali mi ha detto che possiamo lavarci al bar con una bacinella”, spiega Marina Giuliani, 60 anni, Ncc presso l’aeroporto di Fiumicino e due figli di 22 e 15 anni: dal 28 dicembre è ospitata da una amica a Viterbo.

La mattina va a lavorare in aeroporto e la sera torna al divano condiviso con i due figli. Parliamo con lei alle 17, a fine turno: neanche sente la stanchezza, va solo di fretta. Il suo dramma è quello di migliaia di donne separate senza un reddito fisso né una casa, nonostante siano assistite dai servizi sociali comunali.

Tutto ha inizio a giugno di quest’anno. Marina abita in un appartamento a Fregene in affitto a 800 euro al mese. “Ma ero rimasta indietro con i pagamenti perché durante il Covid, con l’aeroporto chiuso, non avevo guadagnato a sufficienza. Mi danno lo sfratto e con il sostegno del sindacato Unione Inquilini chiedo una casa popolare ai Servizi sociali del comune di Fiumicino, che nel frattempo ci manda in un bed and breakfast per due mesi: avevamo solo una camera senza cucina, ci davano un pasto al giorno. Continuo a lavorare come Ncc a chiamata e dopo alcune settimane il Comune ci manda in un prefabbricato del camping Faboulous a Ostia: almeno c’era la cucina”.

“A settembre -continua – il comune ci assegna una casa popolare in via Porto di Claudio, nel centro di Fiumicino. E qui iniziano i problemi. L’appartamento è fatiscente e piccolissimo, appena 25 metri quadrati: non c’è intonaco, ci sono 5 centimetri di muffa e dal water fuoriescono acque nere. Ma con i miei figli ci rimbocchiamo le maniche e sistemiamo la casa. Tutto a spese nostre”.

Al fianco di Marina c’è Emanuela Isopo, del sindacato Unione Inquilini. “Un monolocale di 25 metri quadrati per tre persone è inconcepibile, la Regione dispone almeno 14 metri quadratoi a persona”.

Del caso di Marina si interessa anche il commissariato dell’Onu per i diritti civili, su appoggio dell’Unione Inquilini. Marina resiste nel monolocale rimesso in sesto ma il problema finale arriva il 24 dicembre. “Le condutture interne continuano a perdere e la vigilia di Natale la casa si allaga. Chiamo i vigili urbani che chiudono l’acqua e dichiarano inagibile l’appartamento. Io non so dove dormire, il Comune si prepara a togliermi i figli e mandarli dal padre fuori Roma: partenza il giorno stesso. Io protesto e il comune cede: ci manda tutti e tre in un altro bed and breakfast fino al 27 dicembre”.

Il giorno dopo Marina torna in comune in piazza Carlo Alberto Dalla Chiesa per avere indietro la sua casa o un’altra sistemazione. Ma arriva la doccia fredda. “Mi accoglie il dirigente dei Servizi Sociali e mi dice che non ho più diritto alla casa, che ho già un appartamento e non importa se è inagibile e se non c’è l’acqua: mi dice che posso lavarmi al bar vicino con le bacinelle piene di acqua”. A Marina non rimane altro che chiamare una amica e chiedere ospitalità. “Ma non può continuare a lungo senza casa – conclude Emanuela Isopo – il comune deve spiegare perché non attiva il servizio di pronto intervento per le emergenze abitative”. 

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