Quando Santanchè chiedeva dimissioni agli altri. Per l’Ici non pagata di Josefa Idem ammonì: “Peccato veniale, ma giusto lasciare”

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ROMA – Sulla graticola delle dimissioni ora c’è finita lei, Daniela Santanchè. E se “Danielina”, come la chiamano gli amici, ama appellarsi alla saggezza popolare, tipo “male non fare non fare, paura non avere”- con cui ieri ha risposto a chi le chiedeva se era preoccupata della mozione di sfiducia in Parlamento – dall’opposizione le ricordano altri proverbi adatti all’uso, ad esempio “chi la fa, la aspetti”, o anche “chi di spada ferisce di spada perisce”. Perché in fatto di richieste di dimissioni la ministra del turismo, tra i fondatori di Fratelli d’Italia, non è seconda a nessuno. Anzi ha un vero e proprio record.

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Non ha mancato un invito alle dimissioni di avversari politici in presenza di scivoloni più o meno gravi. Quando Josefa Idem era sul punto di lasciare il ministero dello Sport, anno 2013, per l’Ici non pagata su un immobile, proprio in una intervista a Repubblica, Santanchè la sollecitò a mollare e tornarsene a casa: è vero che il peccato è veniale, disse, ma cara Josefa lascia perdere.

Ripetuti tam tam sulle dimissioni di Giuseppe Conte e Roberto Speranza durante l’emergenza Covid. “Dimettiti”, anche con hashtag ad hoc, a Lucia Azzolina per i banchi a rotelle e all’allora ministra dell’Interno Luciana Lamorgese per il rave party in provincia di Viterbo. Lì fu preparata una locandina digitale con tanto di foto della ministra e la sollecitazione a ritirarsi dalla scena politica. Però anche gli “svarioni” geografici del grillino Manlio Di Stefano sono stati oggetto di inviti alle dimissioni, invece che della raccomandazione a un ripasso scolastico. Una “mania dimissionaria” di Santanchè?

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L’elenco di “tutte le volte che…” di Santanchè è stato raccolto da Pagella politica monitorando Twitter-X, interviste e rassegne stampa. Ne esce una mappa di almeno 18 volte in cui Santanchè ha ritenuto indispensabile il passo indietro, e le inchieste della magistratura non c’entravano, come sarebbe invece adesso nel caso della ministra. Tra le più veementi le dimissioni chieste a Speranza, all’epoca ministro della Salute in fase Covid, per non avere riaperto le piste da sci. Attaccò Santanchè: “In Svizzera piste da sci sempre aperte e nessun impatto sui contagi. Qui Speranza ha chiesto investimenti ai gestori e li ha chiusi a 48 ore dall’apertura”. Ovvio l’affondo contro un premier traballante, Giuseppe Conte: “Giuseppi si concede un’altra notte di mercato delle vacche a caccia di voltagabb…di responsabili, vero?!”. Qui hashtag Contedimettiti. Dimissioni invocate per Nicola Morra, presidente grillino della commissione antimafia per le frasi usate verso Iole Santelli, scomparsa durante il mandato di presidente della Regione Calabria. Per Pasquale Tridico dimissioni subito in una doppia circostanza: il malfunzionamento della piattaforma Inps e il raddoppio dello stipendio retroattivo, in verità deciso dai gialloverdi, per cui si beccò la campagna di Santanchè: “Dia le dimissioni prima di stasera #Inps”. Morra bis nel mirino per la visita a un centro vaccinale di Cosenza accompagnato dalla scorta. Azzolina, si sa. Di Stefano appunto per avere confuso Libano con Libia. Alfonso Bonafede, quand’era Guardasigilli, per avere “spostato fuori dalle carceri boss e mafiosi” in epoca Covid: dimissionisubito. Anche Lorenzo Fioramonti, ministro dell’Istruzione, per un post pre-incarico di governo contro Fratelli d’Italia.

Non è mancata la richiesta di dimissioni di Giulio Terzi di Sant’Agata, non ancora accasato con Fratelli d’Italia, ma ministro degli Esteri del governo Monti. A Maria Elena Boschi: “Cosa aspetta a dimettersi?”. Pure Beppe Provenzano, vice segretario del Pd, che riteneva il partito di Meloni di destra estrema e Santanchè: “Fuori dall’arco costituzionale è Provenzano per le sue gravissime dichiarazioni. L’unica cosa che può fare è dimettersi”. Luigi Di Maio più volte avrebbe dovuto lasciare per Santanchè. E poi, dimissioni immediate di tutti i membri del Csm: si parlava di riforma, ma la strada per Santanchè e Fratelli d’Italia era di tagliare la testa al toro. Dimissioni.

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