Regeni, il diario dall’aula di Gherardo Colombo. “Nessuno pagherà, ma quel processo è dovuto a tutti noi”

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È cominciato ieri il processo nei confronti delle persone accusate di aver ucciso Giulio Regeni. È quasi certo che gli imputati, nel caso in cui vengano condannati, non subiranno alcuna conseguenza penale. Non vivono in Italia e ben difficilmente ci verrebbero spontaneamente. Una richiesta di estradizione non avrebbe alcun effetto: con ogni probabilità finirebbe come le richieste di assistenza giudiziaria rivolte all’Egitto per la notifica del decreto che dispone il giudizio e degli altri atti che si sarebbero dovuti notificare agli imputati e che non sono arrivati a destinazione. Al processo, quindi, ragionevolmente non seguirà alcuna esecuzione dell’eventuale condanna: esecuzione che è l’effetto tipico del processo penale.

Verrebbe da chiedersi, quindi: che processo è se alla eventuale condanna non seguirà la sanzione? Eppure è un processo importante, nella storia della nostra Repubblica non solo perché è espressione della volontà dello Stato di fare chiarezza sulla morte di un cittadino italiano nel territorio di un altro Stato, ove il diritto alla verità processuale sulla violazione di diritti fondamentali e incomprimibili da parte delle istituzioni, pur sovrane in quel territorio, non ha avuto risposta adeguata; ma anche perché dimostra che il processo penale non svolge soltanto la funzione di punire il colpevole, di misurare in anni di prigione la gravità del fatto commesso; di soddisfare il desiderio diffuso che chi ha commesso un reato ed ha causato una sofferenza sia chiamato, a sua volta, a patire una sofferenza.

Il processo penale, entro i limiti imposti dal rispetto delle garanzie e della dignità di chi abbia commesso reati, anche assai gravi, è anche “accertamento” dei fatti e delle responsabilità, che significa percorrere una strada verso il certo, stabilire rapporti causali, collegare fatti a persone e persone a fatti. È fissare quel che è stato, rassicurare la collettività e dare (per quel che è possibile, date le caratteristiche del processo attuale) in tal modo luogo e dignità alla domanda di riconoscimento della vittima, che proprio attraverso questo accertamento vede attestato che tale è stata e tale è.

Il processo penale è ricostruzione della memoria, poiché ciò che in esso viene accertato è affidato a chi verrà, alle nuove generazioni; agli storici anche, che, quando occorra, ben possono ripercorrere quei fatti ed andare oltre la verità “processuale” della sentenza.

Il processo è, quindi, un momento sociale in cui la comunità si confronta con l’effettività delle sue regole e sottrae ai singoli il potere di vendetta privata, chiama a raccolta i suoi membri attraverso le istituzioni che essi stessi si sono dati, anche perché la violazione delle sue leggi, l’offesa, ed anche il dolore siano condivisi, e resi così, nella solidarietà, più sopportabili per chi ne è stato e ne è vittima.

Con questo processo a Giulio e ai suoi genitori viene restituita — a prescindere dall’esito — la dignità dell’essere persone e cittadini che possono chiedere certezza: «Il vostro dolore ci appartiene», sorretti da tutta la nostra comunità civile, simbolicamente rappresentata dalla costituzione di parte civile e dalla richiesta di risarcimento da parte della Presidenza del Consiglio.

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