Ricchi e poveri tutti insieme in coda per il pane nella Striscia: la guerra cancella le differenze

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RAFAH — Fa freddo, fa sempre più freddo a Rafah. Ci aggiriamo come spettri per metterci in fila davanti ai centri di distribuzione degli aiuti, i pochi che ancora hanno qualcosa da dare, alla ricerca di un po’ di cibo. Ricchi e poveri, tutti insieme: la guerra ha cancellato ogni differenza. Ahmad era un uomo d’affari molto facoltoso, viveva al Nord, lo conosco da tempo. È scappato anche lui, ci siamo ritrovati in questa città che aveva 200mila abitanti prima della guerra e ora ne conta più di un milione.

Ha affittato un appartamento per 4mila dollari al mese. È fortunato: avere una casa in cui stare in questa catastrofe è una eccezione, ma come tutti noi anche Ahmad non ha niente da mangiare. Pure chi ha soldi, a Gaza, non ha nulla da comprare. Nelle scuole trasformate in rifugi le persone sono allo stremo, hanno bisogno più di noi di coperte perché all’interno, soprattutto di notte, l’aria è gelida. Cercano di riscaldarsi con la brace, con il carbone, ma accendere fuochi è pericoloso.

Abbiamo bisogno di tutto, a Gaza. Prima della guerra dal valico di Rafah entravano 500 camion al giorno, ora ne arrivano circa 80: niente. Gli israeliani hanno detto che riapriranno il valico di Kherem Shalom, questo può facilitare il processo di controllo delle merci e velocizzarne l’ingresso. Ha cominciato a funzionare già oggi, non sappiamo ancora quanti camion sono entrati, ma tutti aspettiamo che arrivino i beni più preziosi: il carburante e il gas per cucinare, riscaldarci e riaprire le panetterie. Il pane è vitale. Non c’è nemmeno più legna da ardere perché non ci sono più alberi da tagliare.

Il veto Usa al cessate il fuoco per noi è stato peggio di una bomba. A Gaza rischiamo tutti di morire di fame

Dall’altro lato del valico, in territorio egiziano, oggi è arrivata una delegazione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ne fanno parte più di dieci ambasciatori, non ci sono gli Stati Uniti né la Francia. È una missione voluta dagli Emirati e dall’Egitto per consentire ai rappresentanti di questi Paesi di vedere con i propri occhi qual è la situazione degli aiuti proprio mentre monta la rabbia nei confronti dell’Onu per il veto americano al cessate il fuoco. Molti a Gaza ce l’hanno con le Nazioni Unite e anche con la loro agenzia, l’Unrwa, perché ha fallito nel compito di proteggere i palestinesi, ha consentito all’esercito israeliano di fare irruzione nelle sue scuole e nei suoi uffici. Ma non ci saranno proteste perché non ci sono energie, tutti sono impegnati nell’unico sforzo possibile qui: cercare di sopravvivere.

Besan e Ruba, il dolore doppio di due ragazze gemelle a Gaza

Negli ultimi giorni alla rabbia si è unita la frustrazione. In una società conservatrice come quella di Gaza le immagini dei rastrellamenti di uomini nudi, costretti a spogliarsi davanti alle proprie famiglie, sono state una umiliazione profonda, insostenibile. Gli israeliani hanno fatto irruzione in una scuola nel Nord e hanno voluto punire chi si è rifiutato di evacuare con le proprie famiglie. Sostengono che ci fossero militanti di Hamas tra di loro, ma i militanti di Hamas non se ne stanno in un centro sfollati aspettando che arrivi l’esercito per farsi arrestare. È stata una punizione collettiva.

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