Salvini racconta gli “scivoloni” di Draghi e l’ultimo incontro: “Sondò la disponibilità della Lega per una sua ascesa al Colle”

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Il timing è perfetto. L’anticipazione arriva all’indomani dell’intervento di Bruxelles dell’ex premier sul futuro dell’Europa e sicuramente verrà letta come un affondo contro la candidatura a presidente della Commissione.

Dalla scelta dei ministri, definiti “sconcertanti” ai “mancati interventi sul fisco”, fino alla partita del Quirinale con una domanda rimasta senza risposta: Matteo Salvini svela molti retroscena del suo rapporto con Mario Draghi nel suo libro “Controvento” (Piemme) che sarà presentato in anteprima a Milano il 25 aprile e sarà nelle librerie dal 30 aprile, fatica editoriale programmata come traino per le europee di giugno.

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Il leader della Lega ripercorre in particolare le fasi delle ultime elezioni per il Colle: “All’inizio del 2022 – scrive Salvini nel libro – si giocò la delicata partita del successore di Sergio Mattarella. Nella conferenza stampa di fine anno, il presidente del Consiglio aveva fatto intendere di ritenere sostanzialmente conclusa la sua missione al governo. Un’uscita che in molti avevano letto come l’ammissione di voler puntare al Colle. Per la prima volta nella storia, il centrodestra partiva con numeri migliori rispetto al centrosinistra, ma non sufficienti a eleggere un proprio esponente senza il sostegno di almeno un pezzo dello schieramento rivale”.

In un altro stralcio Salvini ricorda “un ultimo incontro con il presidente Draghi in cui sondava la disponibilità della Lega e del centrodestra in generale per un’eventuale sua ascesa al Colle. Alla mia domanda diretta: ‘In caso di sua elezione che ne sarà del governo?’, la risposta non arrivò. O meglio, ci fu un ‘ne parleremo dopo…'”, si legge.

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La scelta dei ministri: “Uno scivolone”

In un altro dei retroscena, il leader della Lega racconta il metodo – “uno scivolone” – usato dal premier incaricato nella scelta dei ministri, che definisce “sconcertanti”.

“Al di là della cortesia dei primi approcci, – scrive Salvini – il premier Draghi scelse di non condividere con i segretari dei partiti nemmeno la scelta dei ministri. Ricordo che ero a casa, quando mi squillò il telefono. Palazzo Chigi. Da lì a dieci minuti, i nomi degli aspiranti ministri sarebbero stati consegnati al Colle. Ripeto: dieci minuti. Draghi mi comunicò di aver individuato in Giancarlo Giorgetti, Massimo Garavaglia ed Erika Stefani i leghisti meritevoli di ottenere dei dicasteri. Nomi autorevoli che godono della mia totale stima e fiducia, ma il metodo era evidentemente sbagliato. Peraltro, era opinione diffusa in tutti i partiti”.

La scelta dei ministri, scrive ancora Salvini, “non fu l’unico scivolone, perché nell’esecutivo che doveva essere dei migliori figuravano alcuni nomi francamente sconcertanti come la disastrosa Luciana Lamorgese confermata al Viminale, per non parlare di Roberto Speranza alla Salute, fino all’irriducibile Di Maio agli Esteri, non esattamente una partenza brillante”.

“Draghi non fece nulla per la pace fiscale”

Un altro passaggio del libro è dedicato a quelli che il vicepremier leghista chiama “i mancati interventi sul fisco”. “Dalla manovra alle nomine, espressi sempre al presidente del Consiglio la massima determinazione a semplificargli la vita. Senza mai avanzare pretese su poltrone o incarichi”, scrive Salvini.

“Alla vigilia della prima manovra economica, organizziamo una riunione informale della Lega con il ministro Giorgetti. Chiamai Draghi – racconta il vicepremier -, per confrontarmi su alcune misure e spiegare che la bozza del governo sulla rottamazione delle cartelle esattoriali era assolutamente insufficiente per raggiungere gli obiettivi che ci eravamo ripromessi. Era e rimane nostra intenzione garantire ai cittadini che hanno correttamente fatto la dichiarazione dei redditi, ma che non sono riusciti a onorare il proprio debito con il fisco, di ripartire pagando solo una parte del dovuto. Chiamatelo saldo e stralcio, rottamazione o pace fiscale: l’importante è il risultato”. Per Salvini, “non è un premio ai furbi o ai delinquenti, ma un percorso ragionevole per restituire dignità e lavoro a chi si è trovato di fronte a difficoltà inaspettate. Purtroppo, nonostante le rassicurazioni del premier, quel governo non fece assolutamente nulla di utile in questa direzione”, si legge nel libro.

I giorni dell’incarico e “le laceranti conseguenze” dell’evoluzione del Covid

In uno degli stralci diffusi Salvini ricorda il momento in cui “il Colle affidò l’incarico di formare un nuovo governo di emergenza nazionale a Mario Draghi. Un nome di prestigio internazionale che circolava da tempo. Nel centrodestra, Draghi godeva di ottima considerazione”.

“Telefonai a Mario Draghi quando il governo era tutto da costruire, – rivela – e ci mettemmo d’accordo per vederci riservatamente. Il premier in pectore mostrò massima disponibilità a collaborare, pur consapevole della drammaticità del momento e della difficoltà generata da una maggioranza eterogenea. Non potevamo immaginare l’evoluzione della crisi Covid con tutte le laceranti conseguenze, a partire dal dibattito sulle libertà personali, sull’equilibrio tra diritto alla salute e del lavoro, su green pass e vaccini”.

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