Tregua, si tratta ancora. Tra i 12 ostaggi liberati anche Mia e il suo cane

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TEL AVIV — Ora che la formula cessate il fuoco in cambio di ostaggi, questa hudna tattica tra Israele e Hamas, ha funzionato con successo anche nel primo dei due giorni supplementari dopo i quattro dell’accordo originale, la domanda è: quanti giorni di cessate il fuoco si possono ancora spremere dalle due parti? E poi c’è un’altra domanda – che suona davvero arrischiata: questo stato di sospensione della guerra nella Striscia di Gaza può trasformarsi in una tregua più duratura?

Ieri all’inizio del pomeriggio il cessate il fuoco era sembrato in pericolo per colpa della notizia di tre esplosioni e uno scontro tra soldati di Israele e Hamas – che dopo si sono accusati a vicenda di avere violato le regole. Invece lo scambio di ostaggi ha retto come se nulla fosse accaduto, perché gli sponsor internazionali erano al lavoro con troppa alacrità per permettere a una sparatoria fra truppe sul campo di far saltare tutto.

Il direttore della Cia, William Burns, in quelle ore era a Doha per la seconda volta in due settimane per incontrare le sue controparti di Egitto e Israele – Abbas Kamel e David Barnea – e il primo ministro del Qatar, Mohammed Bin Abdul Rahman al Thani. Da Doha i negoziatori trattano in modo indiretto con il capo di Hamas a Gaza, Yahya Sinwar, nascosto in qualche bunker sotterraneo, e il fatto che si siano riuniti attorno allo stesso tavolo lascia pensare che ci saranno altri giorni supplementari di cessate il fuoco dopo mercoledì. Ma, aveva avvertito Israele una settimana fa, la pausa non può durare più di dieci giorni e questo vuol dire che nel migliore dei casi le ultime ore di cessate il fuoco sarebbero domenica 3 dicembre.

Poco dopo le sette di sera, uomini di Hamas e per la prima volta uomini della Jihad islamica – la seconda fazione di Gaza, che in questo modo ha avuto il suo riconoscimento – hanno consegnato nove donne e una minorenne israeliane e due thailandesi alla Croce Rossa vicino al valico di Rafah, dopo cinquantatré giorni da ostaggi.

Tra loro c’è Ada Sagi, 75 anni, figlia di sopravvissuti all’Olocausto che ha imparato l’arabo, diceva, «per poter dialogare con i nostri vicini palestinesi» e lo insegnava agli altri. La minorenne era Mia Leimberg, che era stata catturata ed è stata liberata assieme alla sua cagnolina, Bella, davanti a due ali di miliziani di Hamas e gente di Gaza. Nello stesso momento Israele ha consegnato trenta tra minorenni e donne palestinesi, tra loro ci sarebbe anche l’attivista Ahed Tamimi.

La zia di Eitan Yahalomi, un ebreo dodicenne liberato lunedì, dice che durante la prigionia Hamas lo ha tenuto per molto tempo da solo in isolamento, che è stato obbligato a guardare i filmati delle atrocità commesse da Hamas il 7 ottobre e che quando i bambini ostaggi piangevano i carcerieri puntavano loro le armi addosso.

Due giorni fa Hamas aveva liberato Yagil Yaakov, un ragazzino di undici anni che era apparso in un video della Jihad islamica, e il 24 novembre aveva liberato l’anziana Hanna Katzir, anche lei mostrata in un video della Jihad islamica, poi dichiarata morta e invece rispuntata in vita. Sono segnali del fatto che i due gruppi di Gaza si scambiano gli ostaggi e che a volte, nel caos della guerra, perdono il contatto con i nascondigli dove sono tenuti prigionieri (è probabile che evitino radio e telefoni per non essere intercettati).

Il governo Netanyahu ha un motivo interno per concedere altri cessate il fuoco – le proteste delle famiglie degli ostaggi, che hanno un impatto politico pesante – e un motivo esterno – la pressione esercitata dell’Amministrazione Biden, che non vuole perdere troppi voti fra i democratici per colpa della guerra a Gaza a un anno dalle presidenziali e vorrebbe finisse il prima possibile. Ma ieri anche Benny Gantz ha detto che il gabinetto di guerra creato per gestire la campagna contro Hamas è compatto: «Appena il cessate il fuoco finisce le operazioni militari riprenderanno», prima per prendere il controllo totale di Gaza City e poi verso Sud, per prendere anche l’altra metà della Striscia, dove da settimane si concentra in condizioni difficilissime la maggior parte della popolazione palestinese.

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