Un salva Stati senza l’Italia. Il piano B delle Cancellerie europee dopo lo strappo di Meloni

Pubblicità
Pubblicità

BRUXELLES – Un Mes a 19. Senza l’Italia. Ma con tutti gli altri Stati che condividono l’euro. Il rischio più grande che il nostro Paese corre dopo il no in Parlamento alla ratifica della riforma del Meccanismo di stabilità, è proprio questo. Ossia che il Fondo salva Stati sopravviva escludendoci.

È un’ipotesi che nella serata di ieri ha iniziato a circolare tra gli uffici di Bruxelles e nei contatti riservati tra le Cancellerie. E sarebbe davvero uno schiaffo all’Italia. Anzi certificherebbe l’isolamento cui di fatto ci sta costringendo l’esplicita bocciatura della riforma del Meccanismo europeo di stabilità. Del resto si tratta di una possibilità giuridicamente praticabile. Il Mes si basa infatti su un accordo intergovernativo e non su un trattato comunitario. Ossia è il frutto di un’intesa tra gli esecutivi dei venti Paesi che adottano l’euro come moneta. Nulla, dunque, impedisce che un trattato venga sottoscritto da diciannove partner anziché venti. L’idea è stata avanzata soprattutto da alcuni Paesi del nord Europa (compresa la Germania) che non hanno per niente apprezzato il tradimento della parola data sulla ratifica. Soprattutto se si considera la trattativa sul nuovo patto di Stabilità, che a loro giudizio presenta comunque degli elementi di flessibilità eccessiva a favore del nostro Paese.

Insomma la mossa italiana non ha solo infastidito tutti o quasi tutti gli altri sottoscrittori del Fondo, ma sta inducendo una parte di essi ad adottare provvedimenti severi. Che renderebbero l’Italia un “paria” dentro l’Unione.

Che ci sia questo tentativo lo si capiva in parte già l’altro ieri. L’imbarazzo di tutte le istituzioni europee ne erano la testimonianza. Se si leggono in controluce le parole di Pierre Gramegna, il direttore generale del Mes, si intuisce che l’operazione rappresentava già una sorta di “Piano B” nelle prospettive degli altri partner. “Il fondo – diceva giovedì sera – è impegnato a continuare a sostenere i suoi membri e ad adempiere all’importante mandato per il quale è stato creato: garantire la stabilità finanziaria nell’Eurozona. Continuerà a farlo nell’ambito dell’attuale”. Quindi “continuerà” a sostenere i suoi membri, non smetterà di farlo.

Certo non si tratta di una operazione semplice. Le strade percorribili, dopo la bocciatura del nuovo scudo bancario da parte dell’Italia, sono due. La prima: istituire un altro Fondo. La seconda: estromettere del tutto l’Italia dal Mes e andare avanti a diciannove. In quest’ultimo caso bisognerebbe individuare la soluzione giuridica per restituire gli stanziamenti già versati dal nostro Paese. Roma infatti ha sottoscritto oltre 125 miliardi di capitale versandone concretamente 14. A Bruxelles hanno letto con curiosità e soddisfazione la dichiarazione rilasciata dal vicepresidente del Consiglio, il leghista Matteo Salvini, che ha chiesto esplicitamente la restituzione di quella somma: “Se il Mes non si usa, ci possono ridare i soldi”.

A quel punto, però, l’Italia cadrebbe dalla padella nella brace. Perderebbe uno scudo in caso di difficoltà. Ma soprattutto entrerebbe in una sorta di “Serie B” d’Europa. L’effetto sui mercati sarebbe devastante. Il nostro debito diventerebbe il bersaglio più semplice della speculazione finanziaria. Una situazione non proprio auspicabile per un Paese che detiene il debito pubblico più alto dell’Unione dopo la Grecia.

Al momento, comunque, la ritorsione è ancora allo studio. Anche se sul campo. Tra le valutazione in corso c’è quella “temporale”. L’interrogativo riguarda l’opportunità di avviare il percorso per un Mes a diciannove prima delle elezioni europee. Il dubbio concerne il peso che avrebbero i dibattiti politici nazionali su questo argomento. L’altro elemento di valutazione consiste nel soppesare il rischio che qualche “alleato” sovranista di Giorgia Meloni possa mettersi di traverso. Come l’ungherese Viktor Orbán. Se accadesse, l’operazione a quel punto sarebbe fallimentare.

Il nodo che sempre più si stringe a Bruxelles riguarda proprio l’associazione ormai costante tra la presidente del Consiglio italiana e il capo del governo di Budapest.

Pubblicità

Pubblicità

Go to Source

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *