“In Antartide per contare i pinguini vedo ogni giorno perché bisogna proteggere il loro habitat”

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La voce arriva a tratti, la comunicazione è disturbata dai venti forti che si stanno alzando a Sud dell’isola King George, a un centinaio di chilometri dalla Penisola Antartica. Louisa Casson è a bordo della Arctic Sunrise, la nave di Greenpeace che è al Polo Sud per studiare le conseguenze dell’emergenza climatica e della pesca industriale sulle popolazioni di pinguini nella Penisola Antartica e nel Mare di Weddell.

“Siamo appena tornati da una delle nostre spedizioni quotidiane per contare i pinguini – dice l’attivista al telefono – il mare è in tempesta e i picchi innevati di fronte a noi sono sferzati da venti impetuosi. Ma anche oggi è stata una giornata intensa, in cui siamo riusciti a osservare colonie di pinguini mai avvicinate prima. È uno spettacolo incredibile vederli affollarsi quando la nostra barca si avvicina alle isole. Sono in gran parte pinguini di Adelia, ci scrutano in avvicinamento, indecisi se buttarsi nell’acqua gelida. Così finiscono per raggrupparsi uno sull’altro, finché la prima fila crolla in acqua e vediamo questa torre di pinguini che finisce in mare”.

cc Bárbara Sánchez Palomero / Greenpeace 
Neanche l’attivista con competenze scientifiche riesce a resistere al fascino di questi animali così goffi e adorabili. Ma Greenpeace ha diffuso i primi dati di questa nuova spedizione proprio in occasione della giornata mondiale per la sensibilizzazione sui pinguini, che si celebra il 19 gennaio, perché non sia l’ennesima vuota celebrazione, un acchiappa consenso, visto che si parla di animali che strappano cuoricini e sorrisi.

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Far conoscere i pinguini anche tramite un giornata mondiale è una necessità scientifica, dimostrata anche dalla storia della ricorrenza: dal 2010 ricercatori e istituzioni l’hanno usata per portare l’attenzione sui drammatici mutamenti che interessano l’habitat dei pinguini, perché questi animali sono indicatori fondamentali degli effetti del cambio climatico soprattutto in Antartide, dove appunto vive una buona parte di loro. In altri termini, parlare di pinguini è parlare di cambio climatico e di come l’innalzamento delle temperature globali stia modificando ghiacci, oceani e portando alla perdita di biodiversità.

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Sono mutamenti che scienziati e attivisti come Casson hanno sotto gli occhi ogni giorno: “Specie diverse, a seconda di dove vivono in Antartide, stanno subendo in modo diverso le conseguenze del cambio climatico – osserva l’attivista britannica -. Durante l’ultima spedizione in Antartide, condotta nel febbraio dell’anno scorso, Greenpeace aveva riscontrato riduzioni drastiche nelle colonie dei pinguini Pigoscelide antartico su Elephant Island. In alcune colonie la popolazione di pinguini era diminuita del 77 per cento rispetto all’ultima volta che erano state esaminate, circa 50 anni prima”.

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Le prime fasi di questa nuova campagnia forniscono dati altrettanto preoccupanti: “Stiamo osservando per la prima volta in assoluto alcune colonie di pinguini in quest’area e abbiamo verificato la presenza di nidificazioni con 75 pulcini del pigoscelide comune (Pygoscelis papua), che di solito sono molto più frequenti nella regione circumpolare antartica. È il punto più estremo al quale è stata osservata questa specie, segno che la crisi climatica la sta spingendo a cambiare zone per la riproduzione in conseguenza del riscaldamento delle acque“.

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“È la prima volta che vengo in questa zona – conclude Casson – ma i miei colleghi che hanno più esperienza mi ripetono che ogni volta che vengono in Antartide sono sconvolti dagli enormi cambiamenti che osservano. Riescono a esplorare aree che non erano mai state visitate prima, proprio perché il paesaggio muta molto rapidamente. Sono necessarie azioni immediate per proteggere questi ecosistemi fragili, bisogna istituire zone di protezione per la riproduzione dei pinguini dalla pesca industriale”

La situazione descritta dall’attivista di Greenpeace è purtroppo certificata dalla Lista Rossa dell’Iucn, nella quale sono inclusi circa due terzi delle specie di pinguini come minacciati, cosa che ne fa uno degli uccelli marini più a rischio a causa di perdita dell’habitat, malattie e malattie infettive diffuse dai turisti. C’è poi la pesca commerciale nell’Oceano meridionale, che ha ridotto la disponibilità di cibo di circa la metà nella Penisola Antartica: per trovare da mangiare spesso i pinguini seguono i pescherecci e finiscono accidentalmente nelle reti da pesca. Considerato anche lo scioglimento del ghiaccio marino, da cui i pinguini dipendono per trovare cibo e costruire i nidi, si calcola che l’Antartide potrebbe perdere la maggior parte dei suoi pinguini entro la fine del secolo.

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“I pinguini – scrive Greenpeace in un comunicato – sono tra gli animali più iconici del nostro pianeta, ma anche tra le specie più vulnerabili agli effetti del riscaldamento globale e al declino degli ecosistemi marini. Gli oceani hanno bisogno di protezione, ma i governi non agiscono abbastanza in fretta. Sono già passati dieci anni dalla promessa di istituire una vasta rete di santuari oceanici antartici, ma la Commissione per l’Oceano Antartico continua a rimandare l’accordo finale. Il prossimo marzo i leader mondiali si incontreranno all’Onu per concordare un nuovo Accordo globale sull’oceano: chiediamo all’Italia e ai governi di tutto il mondo di istituire una rete di santuari marini in Antartide e di concordare un trattato globale in grado di fermare l’espansione delle attività dannose per la vita negli oceani, un passo importante per estendere le aree marine protette sul 30% degli oceani entro il 2030″.

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