Addio emendamenti e interpellanze, ormai il Parlamento lascia legiferare il governo. L’analista: “Maggioranza meno libera di presentarli”

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Mai così pochi atti di controllo dal secondo governo Conte, che tradotto dai codici istituzionali significa che il Parlamento, anziché ‘incalzare’ l’esecutivo, preferisce ‘comodi’ e generici atti di indirizzo. Insomma, si restringe l’attività emendativa (cosa già nota) e quella di controllo. Calano le interrogazioni e le interpellanze. Aumentano invece gli ordini del giorno, poco vincolanti per il governo e subordinati alla buona volontà di quest’ultimo.

Le cause sono molteplici, ma sono tutte riconducibili alla riduzione del ruolo delle Camere, sempre più subalterne al potere esecutivo. Il Parlamento, a causa l’abuso della decretazione d’urgenza, spesso si limita a ratificare le decisioni già prese dal governo. Non solo: spesso l’indicazione che arriva da Palazzo Chigi è quella di ridurre a zero (o quasi) l’attività emendativa dei decreti in conversione. Per gli eletti, dunque, lo spazio di manovra si restringe sempre di più. E a questo, ora, si somma il calo dell’attività di controllo sul governo.

I lavori del Parlamento sono stati oggetto anche di un polemico botta e risposta in Aula andato in scena qualche giorno fa tra il senatore di Italia Viva Ivan Scalfarotto e la presidente di turno Licia Ronzulli. “Se noi – ha detto l’esponente di Iv -, di mercoledì pomeriggio alle 16,30, non abbiamo da fare nient’altro che questo ddl (sulla cucina italiana, ndr) e stiamo per andar via, perché poi non abbiamo più nulla da fare e domani non ci saranno lavori di Assemblea, questa è una dimostrazione preoccupante non per il Parlamento, ma per il governo, che non produce atti legislativi da portare all’attenzione del Parlamento”. “Domani mattina ci sarà il sindacato ispettivo. Non c’è soltanto l’attività legislativa – ha replicato Ronzulli – ma c’è anche quella conoscitiva e quella di controllo”. Peccato che quest’ultima, con l’avvento di Meloni, abbia subito una sostanziale sforbiciata. Secondo un’analisi FB Lab, il centro studi della FB&Associati, gli atti di sindacato ispettivo (interrogazioni, mozioni, ordini del giorno, risoluzioni) non sono mai stati così scarsi se paragonati con i livelli dei due governi precedenti, Draghi e Conte II. A parità di mesi di governo (circa un anno e mezzo) si è passati da 17.000 atti a circa 14.500, il 20 per cento in meno.

Cosa significa? Che il Parlamento ha allentato l’attività ispettiva nei confronti dell’esecutivo. “Le cause di questo fenomeno vanno ricercate anche nel livello di coesione della maggioranza, decisamente più compatta rispetto alle legislature passate”, spiega Fabio Bistoncini, fondatore di FB&Associati.

Se entriamo più nel dettaglio, analizzando le due macro categorie che compongono il complesso degli atti ispettivi, si scopre che quelli di controllo si riducono (meno 3.500 rispetto ai governi Conte e Draghi), mentre quelli d’indirizzo – meno impegnativi per l’esecutivo – risultano in crescita. La tendenza, infatti, dall’insediamento di Meloni, è inversamente proporzionale: ad una netta diminuzione delle interrogazioni scritte corrisponde un aumento degli ordini del giorno: le prime da 9.300 sono calate a 6.125 unità; i secondi, invece, sono aumentati, passando da 3.368 a 4.402. Secondo Bistoncini l’aumento degli odg è frutto anche della riduzione degli spazi di modifica dei provvedimenti che arrivano in Parlamento: “Rispetto agli altri governi la maggioranza era più libera di presentare emendamenti. L’opposto di quanto accade oggi”.

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