“Aglio e gruviera? Devi morire!”. Le minacce a Luca Cesari per la ricetta della carbonara del 1954

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A Roma si può parlare di tutto. Di pallone, su tutte le radio e in tutti i bar. Di politica, ovviamente. Non mancano mai gli improperi contro il sindaco di turno, che sia di destra o di sinistra. Oppure pentastellato. Ecco. Ma di cucina no. Quella no. Le ricette, per chi si è autonominato depositario delle sacre scritture della romanità, sono un dogma. E, la conferma arriva dai social, intaccarne i sapori è pericoloso. Se il cuoco rivede la carbonara, le minacce di morte sono garantite.

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Lo ha scoperto sulla sua pelle virtuale Luca Cesari. Lo storico della cucina pochi giorni fa ha avuto l’ardire di fare il suo lavoro: ha preso la prima ricetta rintracciabile della carbonara, datata 1954, e come unica colpa ha avuto quella di raccontarla al web. Aglio, gruviera, pancetta. L’uovo come unico ingrediente rintracciabile anche nella versione che oggi tutti conosciamo. Apriti cielo. Apriti Instagram. Insulti, persino dei minacciosi “muori”.

La ricetta, postata anche dal Gambero Rosso, ha fatto esplodere la rabbia dei follower. Inconsulta, incomprensibile, di certo ingestibile. Tutto per un po’ di aglio e di gruviera. Inutile spiegare che quella ricetta venne pubblicata ormai 70 anni fa in un trafiletto de La Cucina Italiana. Inutile spiegare che quella preparazione era di gran voga a Chicago nel 1952.

Nei commenti, oltre alle minacce di morte, si legge di tutto. C’è chi tira in ballo le razioni dei soldati americani con uova e bacon. Chi le ricette della transumanza, pecorino e guanciale. Chi ricorda Renato Gualandi, chef che deciso di nominarsi inventore della vera carbonara. Chi, ancora, rimpiange la “carbocrema” tanto in voga tra i ragazzi dell’era del #foodporn.

Via, insomma, alla polemica con toni feroci. Come se nella sua lunghissima storia la carbonara non fosse stata proposta con i funghi, il prosciutto, la pancetta e il parmigiano. Per gli integralisti – fondamentalisti della romanità ai fornelli – la ricetta non si tocca. E non se ne deve parlare. Meglio insultare (“vaff…”) e minacciare. Sperare che il cuoco finisca “in galera”. Per un pezzo di gruviera.

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