Attacco alla stampa, la Fnsi: “Meloni colpisce e delegittima tutti i giornalisti”

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Alessandra Costante, segretaria generale della Fnsi, prendiamola da un punto di vista sindacale: perché l’attacco di Giorgia Meloni all’editore di Repubblica e al quotidiano stesso riguarda anche i diritti e il lavoro delle giornaliste e i giornalisti, non solo di Repubblica?

«La cosa più sacra dei giornalisti è la reputazione ed è monetizzabile, nel senso che i lettori se si fidano ti comprano. Una campagna di delegittimazione ad opera della premier colpisce direttamente i giornalisti e non l’editore, che peraltro ha altri cespiti. Questo significa perdere posti di lavoro».

Sa cosa diranno a destra? “È una difesa corporativa”.

«Lo immagino ma si sbagliano di grosso, l’articolo 21 della Costituzione parla chiaro. E la qualità della libertà di stampa è centrale per una democrazia. Non so se sta a cuore al governo, però: con il Media freedom act della Ue l’Italia fino all’ultimo sta cercando di utilizzare dei varchi per controllare i giornalisti, spiandoli quindi in determinati casi, con la scusa della sicurezza nazionale».

Il governo che leve di potere ha per ridurre spazio all’informazione?

«L’informazione è un’industria che soggiace a regole economiche, ma non solo. L’esecutivo, ad esempio non prorogando la pubblicità legale sui giornali, può di fatto togliere 120-130 milioni euro ad un settore già in crisi. Lo stesso è la decisione di non rifinanziare il fondo straordinario per l’editoria, altri 140 milioni in meno».

La nascita di un sindacato alternativo in Rai, molto vicino alla destra di governo, le veline contro i giornali critici: sono due temi che fanno parte dello stesso disegno?

«Si vuole portare una certa parte politica che non ha mai avuto molto peso nella categoria ad averlo. Unirai è un sindacato di direttori e caporedattori, penso che ci vorrebbe una applicazione completa dell’art. 39 sulla rappresentanza sindacale, in modo che si abbia la possibilità di contarsi e dimostrare quanto si è rappresentativi, invece di stipulare contratti anomali che vanno incontro alle esigenze di alcuni editori. C’è sicuramente un disegno anche per appropriarsi totalmente della Rai».

La politica ha sempre avuto buon gioco ad attaccare i giornalisti: siete una casta di privilegiati. Quali sono le condizioni generali della professione oggi?

«In Italia la stampa dovrebbe essere libera, ma i giornalisti lo sono sempre meno. Siamo una categoria più povera e precarizzata: abbiamo co.co.co la cui media retributiva è di 10 mila euro annui, partite Iva che guadagnano in media 18 mila euro, e insieme fanno il 70 per cento dei giornalisti al lavoro. Il resto sono i dipendenti, e non vedono il rinnovo del contratto da 10 anni. Siamo ben lontani da essere casta. Il problema è che un giornalista non indipendente, anche dal punto di vista economico, non è davvero libero. Vale per i giudici, per i parlamentari e i giornalisti, che però sono ormai una categoria per l’appunto povera, salvo una minoranza».

Il problema del conflitto di interessi, anche degli editori, è comunque un tema reale per il sindacato?

«Sì e lo abbiamo da 30 anni. Editori che sono politici e viceversa non fanno bene alla democrazia. L’informazione va finanziata e sostenuta, non con briciole ed elemosina e se non si entra in quest’ottica di editori puri non ce ne saranno mai. Poi mancano norme per regolare i conflitti di interessi, e allora dico a Meloni: faccia una legge europea e moderna sulle concentrazioni editoriali, ha le leve del potere, le utilizzi contro ciò che denuncia. Oppure diventa pretestuoso lanciare accuse a questo o quell’editore».

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