Bologna città a 30 chilometri all’ora, perché il nuovo limite di velocità conviene a tutti

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Per chi non è appassionato di meccanica, studiare il consumo istantaneo di un’autovettura può riservare qualche sorpresa. Basta impostare opportunamente il display per qualche minuto per rendersi conto che il consumo di carburante si impenna non appena si pigia il pedale, come, peraltro, nel traffico cittadino capita spesso di fare. Tra semafori, attraversamenti pedonali, auto in doppia e fila e altre alla ricerca di un parcheggio, raramente si raggiunge la terza marcia ed è la frustrazione, più che la logica, a spingere chi guida ad affannarsi su centimetri che finiranno per cambiare poco in termini di tempo. Piange il cuore, piange il portafogli. Neanche l’ambiente sorride, per non parlare – soprattutto –  degli incidenti dovuti a fretta e nervosismo. Il traffico e i suoi corollari sono tra i problemi più stringenti delle città. Chi propone soluzioni trova porte aperte e ascolto a tutte le sfumature dell’arcobaleno politico. Ma l’argomento è delicato, e affrontarlo non è facile.

Stazione futuro

Se 30 km/h vi sembrano pochi

Una novità discussa

Basta il semplice esperimento riportato qui sopra per spiegare, senza troppi fronzoli, il senso della novità più discussa di inizio anno: la riduzione del limite di velocità a 30 chilometri orari entrata da poco in vigore a Bologna. Una città che ama i motori almeno quanto la buona tavola. Dal 16 gennaio si rallenta su buona parte del territorio, giorno e notte. Per tutti. Una svolta epocale. In primo luogo, spiega la politica, servirà a ridurre il numero di incidenti. Dal 2010 al 2019 in città i morti sono stati 194, più di 26.000 i feriti, con una media di 20 decessi e 2.600 feriti l’anno. Cifre che crescono se si rivolge lo sguardo a tutta l’area metropolitana: nello stesso arco temporale i morti sono stati 737 e i feriti su strada oltre 54.000. Il momento più critico, risulta dai dati, è la notte.
 

LA MAPPA DELLE VELOCITA’  Bologna Città 30

Già sessanta Comuni in Italia vanno a 30 all’ora. Ai nastri di partenza anche le grandi città

Secondo l’amministrazione bolognese, la velocità è la prima causa in assoluto di incidenti mortali nel Comune: abbassarla significherebbe ridurre sia la probabilità sia la gravità dei sinistri. Per una persona, spiegano i tecnici, essere investita da un’auto che procede a 30 all’ora equivale a cadere dal primo piano: nove volte su dieci ci si salva. Di contro, se a investire è un’auto lanciata a 50 km/h, l’impatto equivale a precipitare dal terzo piano: otto volte su dieci non c’è scampo.

Longform

Il movimento globale delle città da 15 minuti

Il capoluogo emiliano punta a farsi seguire da tante altre città italiane; e non mancano, del resto, gli esempi in Europa e nel mondo, da Bilbao a Zurigo, da Madrid a Toronto, da Londra ad Amsterdam. Ma la decisione ha scatenato un florilegio di polemiche: in piazza – c’è già stata una manifestazione in via Rizzoli, un altro corteo sarebbe in programma per fine mese – e nei bar. I tassisti minacciano di alzare le tariffe.

L’intervento di Salvini

Nelle ultime ore, è sceso in campo anche il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini. Il leghista ha convocato a Roma il sindaco di Bologna Matteo Lepore. “Non è ragionevole applicare il limite su tutta la città – ha argomentato -. Costringere i bolognesi ai 30 all’ora crea un danno maggiore dei benefici”. Su Instagram il vicepresidente del Consiglio ha rincarato la dose: “Il sindaco dice di andare ai 30 all’ora per sentire il canto degli uccellini. Il canto degli uccellini? Lasciamo lavorare chi deve lavorare, dai…”.  Nel video i volatili (finti) si sentono veramente, a mo’ di sfottò.

Per passare alle vie di fatto, l’idea sarebbe quella di intervenire dalla Capitale con una direttiva ad hoc, sfruttando lo spiraglio lasciato dall’articolo 142 del codice della strada, che al comma 2 concede al ministero la potestà di “modificare i provvedimenti presi dagli enti proprietari della strada, quando siano contrari alle proprie direttive”.

“L’obiettivo del ministero – recita una nota –  è trovare un ragionevole equilibrio tra l’esigenza di garantire la sicurezza (che resta una priorità) ed evitare forzature che rischiano di generare l’effetto contrario. In questo senso, il Mit ha già portato in Conferenza unificata anche una proposta per limitare l’utilizzo degli autovelox nei centri urbani e controllare i limiti sotto 50 all’ora, come nel caso del comune di Bologna. L’obiettivo è far utilizzare i rilevatori di velocità e introdurre le Zone 30 in zone sensibili e a rischio incidenti, anziché in modo generalizzato e quindi meno efficace se non addirittura vessatorio nei confronti degli utenti della strada”. Il riferimento è alle multe, già comminate a poche ore dall’esordio della misura.

Bologna, la protesta di autoblu e minivan contro il limite di velocità di Città30

Valentina Orioli, assessore alla mobilità al Comune di Bologna, ribatte a stretto giro a nome dell’amministrazione: “Le zone con il limite dei 30km/h sono state definite dal Comune di Bologna secondo le norme vigenti e le indicazioni previste dallo stesso ministero di Salvini, che non ha mai fatto mancare un fattivo supporto”, ha affermato l’esponente della giunta di Palazzo D’Accursio. Orioli paventa una battaglia giuridica per difendere la fondatezza della scelta, e rivendica che a far rispettare il limite in città non ci sono autovelox ma solo postazioni mobili montate da agenti e adeguatamente segnalate. Un dettaglio che può fare la differenza, perché lascia saldamente in mano a chi governa il controllo della severità con cui punire i trasgressori.

Insomma, è finita in politica, e il meteo di Palazzo promette una perturbazione lunga sull’asse che corre tra Bologna e Roma. Perché in gioco non c’è solo la risposta al problema – urgente, a tutte le latitudini – di traffico e incidenti, ma due opposte visioni della realtà, una conservatrice e attenta a non traumatizzare l’elettorato, e l’altra progressista, con la testa rivolta al futuro e all’inevitabilità di un cambiamento. Così, si rischia di perdere di vista i dati.

La storia della misura

A mettere la palla a terra e ragionare ci prova uno dei tecnici dell’amministrazione guidata da Matteo Lepore. “Il processo di una città a trenta all’ora era stato indicato come obiettivo già nell’elaborazione del Piano urbano mobilità sostenibile approvato a dicembre 2019” dice al telefono Cleto Carlini, direttore settore Mobilità e Infrastrutture di Palazzo d’Accursio. “A novembre 2022 l’attuale giunta ha approvato una delibera con cui ha dato mandato agli uffici di elaborare un piano particolareggiato traffico che prevedesse l’istituzione della Città 30“, ricostruisce Carlini. Da dicembre 2022 a giugno 2023, prosegue, è stato il momento dei numeri. “Sono stati analizzati rete stradale, tempi di percorrenza, velocità e, soprattutto, incidenti. Il passo finale, a giugno scorso, è stato l’approvazione del piano attuazione, che sulla base di serie storiche e caratteristiche delle strade ha individuato dove abbassare il limite”. Il risultato è che “la norma riguarda quasi il 90% delle strade interne all’area urbana: un concetto diverso, ci tengo a sottolinearlo, da quello di confine comunale”. Sono esclusi gran parte dei viali di circonvallazione, “e direttrici uniche composte da più strade, pensate anche proprio per essere riconoscibili in modo intuitivo dai guidatori e offrire loro alcuni assi continuativi di scorrimento o di penetrazione dall’esterno in città” recita il sito BolognaCittà30, creato per spiegare la misura.

Il dirigente rispedisce al mittente le polemiche, pur non mancando di operare qualche distinguo, e ammettendo alcune delle ragioni dei critici. Molti sono preoccupati per i ritardi, soprattutto negli orari in cui non c’è traffico, di notte, quando la tentazione di premere sull’acceleratore si fa più forte. “Riteniamo – riprende  Carlini – che a prevalere sia l’impatto positivo che riduce gli incidenti e la loro pericolosità. È chiaro che alcuni tempi di percorrenza si allungano inevitabilmente, non tanto nelle ore di punta dove già oggi c’è congestione, ma in quelle serali o notturne, perché il limite è in vigore ventiquattro ore al giorno“. “Si tratta della ricaduta più problematica” aggiunge. Anche per i mezzi pubblici. “Per questo”, spiega, “stiamo agendo sulle precedenze semaforiche, sulle corsie preferenziali, per cercare di attenuare l’impatto”.

Non solo trenta

Non si tratta, insomma, di una norma data una volta per tutte. È, piuttosto, l’inizio di un processo suscettibile di miglioramenti. Che potrebbero arrivare nei prossimi mesi. Anche perché l’esperienza di Bologna rappresenterà la guida per molte città italiane di medie dimensioni che hanno cominciato a pensare di fare altrettanto: se, infatti, la piccola Olbia (guidata dal centrodestra) è stata la prima (da giugno 2021), molte altre  stanno ragionando su misure analoghe. Firenze, Verona, Reggio Emilia, Pesaro, oltre alle grandi – almeno per gli standard italiani – Milano e Roma. In nessuna mancano le discussioni, talvolta feroci. Che, però, possono condurre all’impasse, in una sorta di ostruzionismo che ricorda quello parlamentare, che si porta avanti a colpi di emendamenti.

Ambiente

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“In generale, visti il traffico cittadino e l’inquinamento del catino padano, ogni intervento che cerchi di mitigare l’eccesso di auto e di smog è benvenuto – rileva Giovanni Semi, ordinario di sociologia dell’ambiente e del territorio all’università degli Studi di Torino. “Siamo una generazione che non si può permettere di ritardare tutti gli interventi per ridurre gli inquinanti. Detto questo, come sociologo ritengo, però, che sia necessario capire in che modo le politiche vengono effettivamente realizzate, e su chi impattano. Che cosa, cioè, le città mettono sul piatto della bilancia”. Questi interventi, rileva lo studioso, “vanno associati alla presenza capillare di mezzi pubblici, che per me dovrebbero essere di qualità e gratuiti: solo così una parte importante della cittadinanza avrebbe lo stimolo e l’appiglio a cui aggrapparsi per rinunciare ai veicoli privati. Senza politiche simili, si finisce come al solito a scaricare sui residenti l’onere di adeguarsi a queste trasformazioni”.

Il racconto

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“Bisogna agire su più livelli contemporaneamente – rimarca lo studioso – e avere un’idea molto chiara di quali sono le popolazioni da aiutare. O si procede in questo modo, oppure si rischia di creare rabbia”. I cambiamenti di abitudini, però, non sono mai facili da digerire. Ci sono proteste, manifestazioni. “Penso che un certo tipo di politiche, se negoziate troppo, non verranno mai intraprese. Servono scelte draconiane; ma sarebbe bello che fossero fatte in entrambe le direzioni, con un potenziamento, cioè, adeguato e altrettanto rapido della mobilità pubblica”.

Bologna, la protesta di autoblu e minivan contro il limite di velocità di Città30

Rompere un’abitudine

Secondo l’amministrazione felsinea, il tempo è dalla parte di chi innova, e quello che appare impensabile oggi sarà ritenuto  normale fra qualche anno. Per questo è stato costruito un sito, Bologna Città30, che è anche un progetto di comunicazione estremamente strutturato, con una ricca sezione con le domande frequenti, volta a rispondere a molti dei dubbi più comuni. Una scelta strategica che Carlini rivendica. “La comunicazione ha ruolo fondamentale e determinante nell’adozione di questa misura” riprende.

Il tentativo è stato quello di preparare la popolazione. “A luglio abbiamo cominciato a modificare la segnaletica, poi ci siamo fatti seguire dalla Fondazione per l’innovazione urbana“, un centro multidisciplinare di ricerca e sviluppo focalizzato sulle città. Il costo dei lavori è stato di 190mila euro. “La nostra idea è cercare di far capire ai cittadini quanto sia importante un cambiamento della mobilità per aumentare la  sicurezza dell’ambiente urbano. Un’operazione che, per noi, deve essere principalmente culturale, più che regolamentare e sanzionatoria. Il primo giorno sono state comminate una decina di sanzioni, il secondo un paio, ma le persone devono capire quanto può essere preferibile una città che va a trenta chilometri all’ora”.

I vantaggi per l’ambiente

Se il primum movens sembra essere la riduzione della mortalità, non mancherebbero i vantaggi dal punto di vista ambientale: a Bologna si viaggia già, in media, a 34 km/h secondo uno studio della società Polinomia, ma il ciclo urbano reale è fatto di frenate e ripartenze. E proprio alle accelerazioni sono associati i maggiori picchi di emissioni di scarico dei veicoli con motore a combustione interna, mentre le frenate producono emissioni di polveri sottili a causa dell’usura dei freni e dell’attrito degli pneumatici sulla strada. Marciare a trenta all’ora imporrebbe una guida più fluida e potrebbe ridurre l’inquinamento.

Inquinamento

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A conti fatti, è impossibile negare l’esistenza di un problema legato al traffico e agli incidenti in tutte le città di dimensioni medio grandi; questioni che, per essere risolte richiederanno, probabilmente, anni e il ricorso a strategie multidisciplinari, oltre che alla tecnologia. Il caso dei mobility manager, figura prevista dalla legge ma scarsamente applicata da Nord a Sud, è lì a dimostrarlo. Dovrebbero confrontarsi con gli omologhi aziendali per studiare come regolare i flussi dei pendolari, e gestirli, anche rimodulando gli orari di entrata al lavoro. Raramente avviene. Quello che è appare certo è che la battaglia non è finita.

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