Caso Salis, Meloni: “Diritti per Ilaria ma altri usano le catene”. Si tratta sui domiciliari

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Sulla strada che Ilaria Salis potrebbe percorrere per uscire dall’orrendo carcere di Budapest sono state costruite in queste ore due uscite. La prima, quella della propaganda, la conduce in un vicolo cieco. Ha cominciato Matteo Salvini e ha completato il lavoro ieri, dopo giorni di silenzio, la premier Giorgia Meloni. Con il racconto che vuole l’Ungheria un Paese in grado di garantire «un giusto processo», con condizioni detentive accettabili, e descrive Salis come un’italiana da assistere, certo, ma accusata di «reati gravissimi» e «di fare parte della banda del martello», per la quale in fondo è meglio non esporsi troppo.

Il compromesso tecnico

La seconda uscita è invece quella del compromesso tecnico. E aprirebbe uno squarcio di luce nel futuro di Ilaria: il ministero della Giustizia sta infatti lavorando a una relazione, da mettere a disposizione della difesa nei giorni prossimi, con la quale l’Italia si impegnerebbe a garantire «la massima sicurezza» qualora alla donna fossero concessi gli arresti domiciliari in Italia. «Braccialetto elettronico, vigilanza e impegno a farla partecipare a tutte le udienze del processo previste a Budapest» che, calendario alla mano, non finirebbe prima del 2025. Stando così le cose, Ilaria Salis dovrebbe restare almeno un altro anno con le manette ai polsi e alle caviglie, e al guinzaglio delle guardie carcerarie per lasciare la sua cella. Una barbarie.

Che accadrà, dunque? Un punto cruciale — come è emerso anche dalle parole di Meloni dopo l’incontro con Viktor Orban a Bruxelles — riguarda proprio i tempi del giudizio: perché ne ha diritto la detenuta, perché preme l’opinione pubblica e perché la premier difficilmente riuscirebbe a gestire serenamente i rapporti con l’alleato ungherese in assenza di una soluzione rapida. «Spero in un processo giusto e, mi permetto di dire, anche veloce».

Meloni tra due sentimenti contrastanti

Il resto dei ragionamenti di Meloni, però, è sintesi tra due sentimenti contrastanti. Il primo è una sorta di distacco. La premier è — e si sente — agli antipodi dalla galassia della ragazza di Monza. E non ha alcuna intenzione di mettere in discussione il rapporto con Orban, anzi sostiene che l’Ungheria — un Paese sanzionato per il mancato rispetto dello stato di diritto — garantirebbe un equilibrio tra poteri: «Né io, né lui possiamo entrare nel giudizio che compete la magistratura. Come in Italia, anche a Budapest c’è l’autonomia dei giudici». Una carezza all’amico Orban che annuncia anche l’ingresso nei Conservatori, la famiglia europea di FdI. Circostanza che fa infuriare Elly Schlein: «Meloni la accoglierà a braccia aperte perché le sue non sono legate con le catene», dice.

Un gioco di equilibri

A proposito di catene: la presidente del Consiglio non si mostra neanche particolarmente indignata per le immagini di Ilaria Salis al guinzaglio. «Accade in diversi Paesi, anche occidentali. Non è nostro costume, sono certo immagini che impattano, ma in altri Stati sovrani funziona così». Meloni, in realtà, sa che le cose non stanno proprio così. Tanto che l’ambasciatore italiano in Ungheria, Manuel Jacoangeli, nell’incontro avuto due giorni fa con il ministro della Giustizia ungherese, ha dovuto portare il plico dei giornali italiani, con le foto in prima pagina di Ilaria in catene, proprio per segnalarne straordinarietà e delicatezza: «Caro ministro, la situazione della nostra opinione pubblica è questa». E d’altronde, la stessa Meloni è costretta a bilanciare la sua sensibilità politica sul tema con il secondo sentimento, legato ai doveri istituzionali e al sentiment dell’opinione pubblica: «Quello di cui ho parlato con Orban, come faccio per tutti gli italiani detenuti all’estero, è garantire che ai nostri connazionali venga riservato un trattamento di dignità e rispetto». E ancora: «Posso solo sperare che Ilaria Salis sia in grado di dimostrare la sua innocenza. Ovviamente il governo e l’ambasciata garantiranno tutta l’assistenza necessaria». Quanto all’eventuale detenzione in Italia, al centro della mediazione di queste ore, la premier non si sbilancia: «Il tema va discusso quando sapremo come andrà il processo».

Il verbale in ungherese

In realtà, la discussione è già partita. La difesa di Salis ha chiesto in tre occasioni i domiciliari, sempre respinti dal tribunale ungherese con la motivazione che esisterebbe un pericolo di fuga. «In Italia questo rischio però non esisterebbe», è il ragionamento che ci si appresta a fare ai giudici di Budapest, depositando anche l’impegno del ministero ad adottare tutte una serie di procedure per eliminare il rischio evasione. Basterà? Difficile dirlo. È vero che il procuratore generale ha fatto visita alla donna italiana, in carcere. È vero che i fari sono puntati, che l’ambasciatore si è mosso con forza, e dunque le condizioni tendono a migliorare. Ma è altrettanto vero che il clima resta molto teso. Ilaria, dopo l’udienza della vergogna, ha scritto all’ambasciata raccontando un episodio inquietante. È stata interrogata da due agenti sulle sue denunce per le condizioni di detenzione. La Salis ha confermato tutto. Ma poi le è stato chiesto di firmare un verbale in ungherese. «Che c’era scritto?». Ieri il suo avvocato, Eugenio Losco, per il tramite dell’ambasciata ha chiesto una copia dell’atto. Al momento nessuna risposta.

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