Houti ancora all’attacco nel Mar Rosso. Via libera della Ue alla missione Aspides

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Nonostante i bombardamenti condotti quasi tutti i giorni dall’Us Navy, gli Houti continuano a colpire la navigazione civile nel Mar Rosso: ieri i loro missili hanno centrato un mercantile battente la bandiera del Belize nello stretto di Bab el Mandeb, provocando danni così gravi da obbligare l’equipaggio ad abbandonarlo. Poche ore dopo nel golfo di Aden un’altra nave è stata sfiorata da un missile: si tratterebbe di un cargo greco noleggiato da una società statunitense. Inoltre i vertici del movimento sciita hanno rivendicato l’abbattimento di un drone spia americano Reaper: è stato diffuso un video ma le immagini non permettono di capire se il velivolo senza pilota è stato realmente colpito dalla contraerea.

Il nuovo ordigno

I miliziani yemeniti dispongono di un arsenale che sembra inesauribile e hanno utilizzato una nuova arma: un drone sottomarino di produzione iraniana. Si tratterebbe del primo impiego in assoluto di questo genere d’ordigno. La notizia è stata data dal comando delle forze statunitensi, che ha dichiarato di averlo distrutto prima che potesse raggiungere l’obiettivo. Finora i fondamentalisti avevano usato droni volanti e naviganti, mai mezzi telecomandati che viaggiano in immersione.

Non ci sono dettagli ma dovrebbe trattarsi di un sistema semplice: un megasiluro che resta sott’acqua per circa mezzo metro, lasciando in superficie soltanto un’antenna che serve per pilotarlo via radio. Apparati del genere possono essere fermati disturbando le frequenze che li guidano: non è chiaro se l’ogiva contenga un sonar capace di indirizzare autonomamente il siluro nella fase finale dell’attacco.

Via alla flotta Ue

Si tratta di una nuova minaccia con cui dovrà fare i conti anche la missione europea Aspides, che oggi ha ricevuto il via libera definitivo dai ministri degli Esteri della Ue. La squadra navale avrà quartiere generale in Grecia agli ordini del commodoro Vasileios Gryparis e il comando operativo affidato al contrammiraglio Stefano Costantino a bordo del cacciatorpediniere “Caio Duilio”. L’ufficiale italiano ha svolto lo stesso incarico un anno fa nell’operazione Agenor che presidia le acque dello Stretto di Hormuz per impedire attacchi contro le petroliere. E’ prevista la presenza di altre tre fregate fornite da Francia, Germania e Grecia. Ci saranno inoltre aerei da pattugliamento Atlantique francesi e P-3 tedeschi, probabilmente basati a Gibuti, per garantire copertura radar alla formazione.

Il ministro Guido Crosetto ha confermato che la partecipazione italiana dovrà essere ratificata da un voto del Parlamento: “E’ una risposta necessaria alla guerra ibrida che gli Houti stanno portando avanti nello stretto di Bad el-Mandeb tagliando le vie di comunicazione che alimentando numerosi Paesi tra cui il nostro, incidendo sulle loro economie e creando uno svantaggio competitivo per l’Occidente a vantaggio di altre nazioni, le cui navi non vengono attaccate”.

Italia senza mare

Il riferimento del ministro è a Russia e Cina: non ci sono mai state aggressioni contro portacontainer o petroliere usate da compagnie di questi Paesi. La missione europea è esclusivamente difensiva e non prevede azioni sulla terraferma: dovrà scortare i mercantili e garantire la libertà di navigazione nel Mar Rosso. Lo scudo – che in greco antico si chiamava appunto Aspides – sarà fornito da una falange di missili terra-aria. Il “Caio Duilio” dispone di 48 celle per Aster 15 a corto raggio e Aster 30 che coprono cento chilometri. La “Hessen” tedesca è un’unità specializzata nella protezione anti-aerea, con 32 missili intercettori e una barriera ravvicinata con altri 42 ordigni Ram. Invece Parigi dovrebbe schierare una Fremm con 16 Aster 15. Si tratta di uno schermo potente, che dovrà fare i conti con una minaccia agguerrita.

L’arsenale infinito

La scorsa settimana la Marina statunitense ha sequestrato un battello diretto in Yemen con a bordo esplosivi e componenti per assemblare missili. E’ la seconda volta che viene bloccato un carico simile: tutti i materiali sono chiaramente di produzione iraniana. Gli Houti nel corso degli anni hanno sviluppato una filiera tecnica capace non solo di produrre missili e droni progettati dagli ingegneri di Teheran ma anche di migliorarne le prestazioni. Durante il lungo conflitto civile, in cui hanno fronteggiato gli stormi sauditi ed emiratini, i miliziani sciiti hanno elaborato tattiche per sopravvivere ai raid aerei e oggi le stanno impiegando per resistere all’Us Navy, che ha già messo a segno un centinaio di incursioni sulle postazioni yemenite.

Droni e missili vengono trasportati da camioncini, identici ai normali veicoli commerciali e che restano nascosti in garage o nelle strade cittadine fino al momento di entrare in azione. I missili possono essere individuati solo quando accendono i propulsori – il cui calore è visibile ai sensori infrarosso di satelliti e velivoli spia – mentre ancora più difficile è scoprire i droni spinti da piccoli motori a elica. L’intelligence americana si è concentrata sulla distruzione dei comandi e delle centrali radar, tenendo sotto controllo tutta la costa per agire quando le rampe vengono attivate.

Venerdì sera gli F-18 Hornet della portaerei Eisenhower hanno colpito cinque ordigni pronti al lancio. Tre erano cruise anti-nave; gli altri due, macchine più sorprendenti. In un caso si trattava di un barchino-killer telecomandato: sono strumenti concepiti dai Guardiani della Rivoluzione per gli assalti nel Golfo Persico, simili a quelli utilizzati dagli ucraini contro i russi in Crimea. I mezzi iraniani sono meno sofisticati ma in passato hanno causato seri problemi alla flotta saudita ed emiratina. A bordo hanno mezza tonnellata di esplosivo e vengono diretti contro la fiancata dei mercantili. Senza precedenti invece la scoperta di un Uuv – Unmanned Underwater Vessel – ossia un sommergibile senza equipaggio: un prototipo chiamato Nazir-5 è stato mostrato dalla Marina di Teheran durante una parata lo scorso anno. Esteriormente somiglia a un siluro, con dimensioni però molto più grandi: si ritiene che l’ogiva traporti mezza tonnellata di esplosivo.

L’arma più insidiosa adoperata finora dagli Houti sono i missili balistici, che raggiungono velocità cinque volte superiori a quella del suono e hanno un profilo di volo tale da rendere difficile l’intercettazione. Gli iraniani ne hanno realizzato almeno due modelli: uno chiamato Khalij Fars, con portata di 300 chilometri e 650 chili di tritolo, è derivato dal Fatah 110, che ha dimostrato buona precisione durante gli attacchi contro il Kurdistan grazie a un sistema di guida ottico che gestisce la fase terminale della traiettoria. L’altro battezzato Hormuz-2 invece aggancia le emissioni dei radar delle navi e si dirige contro la sorgente. In queste settimane hanno condotto numerosi attacchi e in un caso hanno perforato un mercantile da parte a parte: la testata però non è scoppiata, permettendo al cargo di proseguire il viaggio.

Per anni i vertici della Nato hanno sottovalutato questi ordigni, messi a punto soprattutto dalla Cina e dall’Iran: venivano ritenuti troppo imprecisi per centrare un battello in movimento. Gli investimenti e le ricerche delle marine atlantiche sono stati focalizzati al contrasto dei grandi missili balistici in volo contro obiettivi sulla terraferma, come città o basi militari, non alla difesa delle stesse navi. Adesso tutti gli ammiragliati stanno cercando di correre ai ripari, adattando i sistemi elettronici e le dotazioni protettive a questo nuovo pericolo.

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