Il capo di al Jazeera al-Dahdou è un amico. L’uccisione di suo figlio è una nuova prova che noi giornalisti siamo nel mirino

Pubblicità
Pubblicità

Rafah — È stata una notte molto dura, l’ennesima. Non siamo riusciti a chiudere occhio: ci hanno tenuto svegli i rumori dei bombardamenti sulla vicina Khan Yunis – così forti da far tremare le case – e i droni, che adesso volano molto vicino senza soluzione di continuità. Ormai abbiamo capito che dopo la perlustrazione aerea del drone arriverà un bombardamento, quindi anche solo il ronzio di un velivolo guidato da remoto rende tutti molto nervosi.

L’atmosfera è molto tesa: la gente è convinta che l’esercito israeliano abbia aumentato l’intensità delle sue operazioni militari nel Sud della Striscia di Gaza e che ormai non ci si possa sentire al riparo nemmeno in quelli che l’Idf stessa indica come “posti sicuri”.

Dopo una notte insonne, questa mattina è arrivata la notizia dell’uccisione di tre giornalisti. Il fotoreporter Ali Salem Abu Ajwa è morto in un attacco aereo a Gaza City; il reporter di Afp Moustafa Thuraya e il giornalista Hamza al-Dahdouh sono stati colpiti da un drone mentre stavano percorrendo in macchina la strada tra Khan Yunis e Rafah. Hamza era il figlio di Wael al-Dahdouh, il capo dell’ufficio di Al Jazeera nella Striscia.

Conosco Wael, è un mio amico. A ottobre ha perso la moglie, altri due figli e un nipote in un bombardamento israeliano sul campo profughi di Al-Nuseirat, nel centro della Striscia; allora lo avevano informato mentre era in diretta tv. La notizia della morte di un altro suo figlio oggi è per me particolarmente dolorosa. Nessuno di noi sa dove trovi la forza di andare avanti dopo tutti i lutti che ha subito in questi mesi.

Gaza, i funerali dei due giornalisti rimasti uccisi in un raid israeliano

Con Hamza, Moustafa e Ali Salem, i colleghi uccisi nella Striscia dall’inizio della guerra sono più di 100. Ormai è chiaro che non si può più parlare di “danno collaterale”: in questo conflitto noi giornalisti siamo diventati un bersaglio. Sappiamo di rischiare la vita.

All’inizio non immaginavamo che saremmo stati così in pericolo. Nelle guerre precedenti Israele bombardava i palazzi che ospitavano le redazioni delle testate, ma di solito lanciava un avvertimento prima, dandoci il tempo di evacuare. Ora bombarda senza preavviso e non prende più di mira solo gli uffici, ma direttamente i reporter. Crediamo che Israele abbia visto che stiamo facendo il nostro lavoro, esponendo i crimini che sta commettendo in questa guerra, e che perciò voglia spaventarci e scoraggiare tutti quelli che continuano a fare la nostra professione in condizioni che stanno diventando proibitive.

Le morti dei nostri colleghi non solo ci spaventano, ma ci complicano ulteriormente il lavoro. Per paura di rimanere uccisa, la gente ha sempre meno voglia di parlare con noi. O persino di averci vicino: una mia collega è stata allontanata da una casa nella quale aveva trovato sistemazione perché i proprietari temevano che la presenza di una giornalista avrebbe potuto attirare un attacco israeliano.

Questo non implica che nella Striscia si seguano con meno attenzione i notiziari, anzi: tutti ascoltano la radio, tutti parlano delle notizie ascoltate e tutti provano a trarre da lì (quando è possibile) il loro unico barlume di speranza. Negli ultimi giorni due questioni dominano il dibattito: la potenziale escalation sul fronte Nord di Israele, al confine con il Libano, e le tensioni all’interno del governo Netanyahu.

Hezbollah mostra attacchi aerei a Meron: “Abbiamo colpito un punto di osservazione israeliano”

Nessuno si augura che scoppi una guerra aperta tra Idf ed Hezbollah, perché si teme che in tal caso l’esercito israeliano attaccherebbe con intensità ancora maggiore nella Striscia. Mentre molti vedono nei disaccordi all’interno dell’esecutivo israeliano e nella sua eventuale caduta la via verso quello che al momento è solo un sogno: lo stop totale alla guerra. (Testo raccolto da Niccolò Locatelli)

Pubblicità

Pubblicità

Go to Source

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *