La marcia inarrestabile delle specie aliene verso Nord

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Pitoni, rane, scarabei e zanzare premono alla frontiera americana: si apprestano a invadere silenziosamente, ma con danni per gli ecosistemi, gli Stati Uniti da sud, per via del cambiamento climatico che rende ospitali regioni che prima, in inverno, erano off limits. Lo suggerisce uno studio pubblicato su Global Change Biology da ricercatori californiani. “Per molte specie invasive tropicali l’ostacolo principale non è tanto la temperatura media dell’area da invadere, quanto le punte estreme di freddo che possono verificarsi in quella regione. E i dati ci mostrano che le grandi gelate sono oggi più rare rispetto agli scorsi decenni” spiega Caroline Williams, docente di fisiologia evolutiva alla University of California di Berkeley e autrice principale dello studio. 

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“In Florida, Alabama, Mississippi, Louisiana, Texas, New Mexico, Arizona e California abbiamo trovato specie tropicali di insetti, rettili, anfibi e alberi che stanno espandendo il loro habitat”. Tra le specie più invasive: il pitone birmano, le rane arboricole cubane, l’albero del pepe brasiliano.

La zanzara vettore di malattie. “Un’importanza particolare la rivestono gli insetti, per il peso che hanno nell’equilibrio degli ecosistemi” osserva Williams. “Molte zanzare hanno origine tropicale e sono molto sensibili alle temperature vicine allo zero. Con eventi climatici sempre meno rigidi e sempre meno frequenti, le zanzare riescono a sopravvivere all’inverno e a estendere il loro raggio d’azione nelle zone temperate, portando con loro malattie come lo Zika e il dengue”.

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Le foreste che ‘migrano’. Gli esperti si aspettano anche foreste di pini sempre più degradate per via della risalita verso nord del dannoso scarabeo del pino meridionale. “Stanno salendo verso nord anche specie vegetali non invasive, perché già presenti da tempo in America, ma in grado di modificare in modo netto gli ecosistemi temperati” spiega Williams. “Come le foreste di mangrovie, che rimpiazzano via via le paludi salmastre”.

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Le specie a rischio e la tropicalizzazione del clima. La tendenza climatica riscontrata dai ricercatori è visibile direttamente anche dalla popolazione: “Vivo a Berkeley, vicino a San Francisco, dal 2015 e non ho mai visto una gelata. Ma prima del 2000 le gelate non erano una rarità: se ne verificavano in media 5 all’anno, con punte di 12” spiega Williams. “Oggi abbiamo in tutta l’area della Baia di San Francisco piante e animali che 30-40 anni fa non sarebbero sopravvissuti per il freddo. E ciò avviene ormai a livello mondiale lungo la linea di transizione tra le zone tropicali e quelle temperate”. In certi casi la tropicalizzazione di queste regioni è salvifica per specie in pericolo come le tartarughe marine e i lamantini (mammiferi marini simili ai trichechi).

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“Per queste specie gli inverni più caldi permettono, con l’espansione verso nord, il recupero delle popolazioni” osserva Williams. “Ma possono comunque verificarsi, anche se più rari, eventi come la recente tempesta invernale nel Texas, che causano mortalità su larga scala e ricacciano queste specie più delicate verso i tropici. Più in generale, le specie che approfittano di più degli inverni meno freddi sono quelle più generaliste e adattabili, ovvero in massima parte gli animali nocivi agli ecosistemi, che già sono abbondanti. I vantaggi per le specie a rischio sono invece molto più ridotti”.

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