La nuova offerta di Biden a Netanyahu: “Stato di Palestina ma smilitarizzato”

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NEW YORK – Il presidente Biden crede che la soluzione dei due Stati per superare la crisi in Medio Oriente sia ancora praticabile, anche con Netanyahu alla guida di Israele. Anzi, ha detto di avere alcune idee per farla procedere, come la demilitarizzazione dell’entità palestinese per garantire la sicurezza. La Cnn si è spinta a scrivere che il premier dello Stato ebraico gli ha confidato di essere favorevole a questa ipotesi, durante la conversazione di venerdì, secondo fonti con una conoscenza diretta dei contenuti della telefonata. Netanyahu ha poi smentito tale ricostruzione, riferendosi però ai commenti della tv di notizie, non quelli del capo della Casa Bianca.

Il piano a cui lavorano gli Stati Uniti per fermare la guerra a Gaza e ridisegnare il Medio Oriente, in collaborazione con i Paesi arabi, l’Unione Europea e l’Onu, è ormai noto: cessate il fuoco, liberazione degli ostaggi, normalizzazione delle relazioni tra il regno saudita e Israele, che in sostanza aprirebbe la strada al riconoscimento dello Stato ebraico da parte di tutti i paesi sunniti, isolando l’Iran. In cambio Biden chiede a Netanyahu di avviare la creazione dello Stato palestinese, senza alcun ruolo per Hamas e sotto la guida dell’Autorità di Ramallah. Perché lo domandano gli arabi, ma anche perché sarebbe l’unica opzione in grado di evitare che il 7 ottobre si ripeta. Il premier israeliano però ha risposto che non è favorevole, per almeno due ragioni: primo, teme che lo Stato palestinese diventi in realtà una piattaforma per attaccare il suo; secondo, perché la propria sopravvivenza politica e giudiziaria dipende dalla tenuta della coalizione di governo di destra, contraria a queste concessioni.

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Venerdì Biden e Netanyahu hanno parlato per 40 minuti, e in serata il capo della Casa Bianca ha dato la sua interpretazione. Un giornalista gli ha chiesto se la soluzione dei due Stati è impossibile con Bibi al potere, e lui ha risposto così: «No, non lo è». Allora gli hanno domandato se sta riconsiderando le condizioni per continuare gli aiuti ad Israele, data la posizione del premier sui due Stati. Dilemma fondamentale per il presidente, anche in vista delle elezioni del 5 novembre, perché se abbandona lo Stato ebraico perde una fetta molto importante di sostenitori e finanziatori, ma se non protegge i palestinesi rischia l’appoggio della minoranza arabo-americana, che già minaccia di non votarlo in uno stato chiave come il Michigan.

Quindi ha risposto così: «Penso che saremo in grado di trovare una soluzione». Come? «Ci sono diverse tipologie per i due Stati. Esistono un numero di paesi che sono membri dell’Onu, ma non hanno le proprie forze armate. Diverse nazioni poi hanno altre limitazioni. Perciò credo ci sia una strada attraverso cui ciò possa funzionare». E Netanyahu è aperto a questa ipotesi? «Ve lo farò sapere». Lo scopo di Biden forse è anche allargare il solco tra il premier e la parte del suo governo che non ne condivide la strategia.

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Poco dopo la Cnn ha scritto che secondo una fonte a conoscenza dei contenuti della telefonata tra i due leader, Bibi ha spiegato a Joe che «i commenti fatti il giorno precedente non intendevano chiudere alla soluzione dei due Stati in ogni sua forma». L’ufficio del premier ha poi smentito questa ricostruzione.

Alcuni analisti pensano che la posizione di Netanyahu sia definitiva, perché non ha mai creduto alla soluzione dei due Stati e ora non gli conviene politicamente. Tom Friedman ha scritto sul New York Times che Bibi, minacciato anche personalmente dai tre procedimenti giudiziari per corruzione a cui è sottoposto, ha scelto come strategia per la sopravvivenza di ricandidarsi facendo leva sull’attuale avversione degli israeliani a concessioni di qualsiasi natura ai palestinesi.

Perciò chiederà agli elettori, in particolare quelli della coalizione che lo sostiene, di dimenticare i suoi guai giudiziari o gli errori commessi nella mancata prevenzione dell’attacco del 7 ottobre, confermandolo perché è l’unico leader in grado di resistere alle pressioni americane e internazionali per la creazione dello Stato palestinese. Poi punta sul ritorno di Trump. Altri invece pensano che le dichiarazioni pubbliche di Netanyahu non corrispondano necessariamente al suo pensiero. È sempre stato camaleontico e in fondo lui aveva firmato il Protocollo di Hebron con Arafat. Se ricevesse una proposta davvero conveniente per uscire dalla crisi di Gaza, che comprenda la liberazione degli ostaggi, il riconoscimento dei sauditi e degli arabi sunniti, l’emarginazione dell’Iran, e quanto meno la sua salvezza giudiziaria, potrebbe scaricare la destra e accettare lo Stato palestinese.

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