La speranza dei figli di madre segreta “Una legge per scoprire le nostre origini”

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Da vent’anni chiedono una legge che garantisca il loro “diritto alle origini”, da vent’anni i loro appelli restano nei cassetti delle commissioni parlamentari. Intanto, però, a centinaia, ricostruendo con tenacia da investigatori frammenti di storie sepolte nella burocrazia e nel silenzio, sono riusciti a ritrovare legami che sembravano destinati a restare sconosciuti per sempre. Anzi, precisamente, per cento anni, ma in una vita cento anni vogliono dire sempre.

Si chiamano figli (e figlie) di “madri segrete” sono 400 mila in Italia, hanno dai venti agli ottant’anni e sono nati da parti anonimi, venuti al mondo in ospedale da donne che chiedono e hanno il diritto per legge di non essere nominate. (Ancora oggi ogni anno alcune centinaia di neonati vengono lasciati nelle nursery dei reparti di maternità. Una buona parte sono malati o disabili).

La nostra legge sulle adozioni prevede che soltanto al compimento dei cento anni questi figli non riconosciuti alla nascita e poi adottati possano accedere in tribunale ai fascicoli che custodiscono (o si dovrebbe dire nascondono) il nome delle loro madri. Norma di estrema tutela nei confronti di donne che per mille privatissime ragioni, ma spesso dietro queste vite ci sono abusi, indigenza, sfruttamento, scelgono di non tenere con sè i propri bambini e con coraggio e dolore li partoriscono in ospedale invece che in situazioni più estreme. Con la certezza che mai né i medici né il tribunale potranno rivelare ai figli il loro nome. Norma però arcaica e fuori tempo in un’era nella quale basta mettere il proprio Dna nelle banche online per ritrovare genealogie e parentele, mentre tutta la psicologia sulle adozioni ha dimostrato quanto la ricostruzione delle origini, seppure imperfetta, sia fondamentale per lenire il trauma dell’abbandono.

Dopo una sentenza della Consulta del 2013, una legge targata Pd approvata alla Camera nel 2015, un altro disegno di legge firmato Lega giacente a Montecitorio, con una mozione presentata dalla senatrice Cinquestelle, Elisa Pirro, un convegno al Senato e — soprattutto — un film di Alessandro Bardano con Castellitto e Lundini, “Il più bel secolo della nostra vita”, l’associazione “Figli adottivi e genitori naturali”, fondata da Luisa Di Fiore, prova a spezzare l’oblio sulla “legge dei cento anni”. Nel frattempo, grazie anche al “Comitato nazionale per il diritto alle origini biologiche” di cui è presidente Anna Arecchia, comitato nato da un gruppo di donne napoletane, ex bambine dell’orfanotrofio “Real casa dell’Annunziata”, il tabù del silenzio sulle madri si è infranto.

«Nel 2013 la Consulta ha dichiarato incostituzionale la legge sulle adozioni nella parte in cui vieta l’accesso alle origini a chi nasce da parto anonimo — spiega Luisa Di Fiore, anche lei non riconosciuta e poi adottata — da allora molti tribunali accettano di fare il cosiddetto “interpello”. Rintracciano le madri se ancora vive e chiedono loro se vogliono incontrare quei figli perduti. Nella maggioranza dei casi la risposta è stata affermativa, si tratta di bambini abbandonati per disperazione, mai però dimenticati. In mancanza di una legge però ogni tribunale sceglie se applicare la sentenza della Consulta o meno». «La ricerca delle proprie origini — aggiunge Elisa Pirro — è un passaggio chiave nella definizione della propria identità, per questo ho presentato una mozione volta a bilanciare i diritti dei figli di conoscerle con quelli delle madri che partoriscono in anonimato». Alfonso Sabella, magistrato, chiede di colmare «il vuoto legislativo determinato dalla sentenza della Consulta per assicurare ai cittadini l’eguaglianza vanificata dalle diverse prassi dei tribunali».

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