“La strage in Iran non è opera degli Usa né di Israele”. Ma l’America teme una escalation

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NEW YORK — «È ridicolo pensare che gli Stati Uniti siano coinvolti nelle esplosioni in Iran», così come «non ci sono indicazioni di una partecipazione di Israele» all’attacco di Kerman, durante la commemorazione del capo dei pasdaran Soleimani. La casa Bianca invece punta il dito contro l’Isis.
Diverso è il discorso per l’eliminazione a Beirut del vice leader politico di Hamas, Saleh al Arouri, perché lui era «un brutale terrorista con il sangue di vittime civili nelle mani». Questo non significa che Washington confermi la responsabilità dello Stato ebraico nell’operazione condotta nel quartiere Dahieh, controllato da Hezbollah, però marca la differenza tra i due episodi. Entrambi invece aumentano il rischio di un’escalation del conflitto iniziato a Gaza, e perciò il dipartimento di Stato torna a ripetere l’avvertimento lanciato all’inizio dal presidente Biden: «Chiunque stia considerando di approfittare della situazione per allargare la guerra, farebbe bene a pensarci due volte».

Le ipotesi iniziali, fatte subito dopo le esplosioni di Kerman, erano principalmente tre: un attentato gestito dal servizio segreto israeliano del Mossad, un’operazione dell’Isis sunnita in chiave anti sciita, e un atto di rivolta interno all’Iran. Poi la propaganda che nella regione non manca mai aveva ipotizzato anche un intervento diretto degli Stati Uniti, visto che erano stati loro, durante l’amministrazione Trump, ad eliminare Soleimani.

Da Eichmann ad al-Arouri, le guerre “segrete” del Mossad

Dopo alcune ore di analisi condotte dall’intelligence, il primo a rispondere è stato il portavoce del dipartimento di Stato Matthew Miller: «Gli Usa non sono coinvolti. È ridicolo anche solo pensarlo». Allo stesso modo «non abbiamo informazioni relative alla partecipazione degli israeliani.

Poco dopo è intervenuto anche il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale John Kirby, ribadendo in sostanza la stessa versione. Sull’ipotesi di un’operazione condotta dall’Isis l’intelligence americana non ha ancora informazioni certe ma un’autorevole fonte della Casa Bianca di che che l’attentato di Kerman è «simile ad altri condotto dallo Stato Islamico». Rimane aperta la pista dell’attentato condotto dall’opposizione interna al regime iraniano, da mesi molto attiva tra manifestazioni e proteste di varia natura. Queste però restano le uniche ipotesi sul tavolo, se è vero che Usa e Israele non sono coinvolti.

Del resto anche gli analisti indipendenti sono stati subito scettici riguardo al coinvolgimento del Mossad, perché non sono queste le modalità con cui agisce, preferendo invece le operazioni mirate contro obiettivi specifici di alto livello, come appunto quella di Beirut. Ancora meno credibile, secondo questa logica, è un intervento degli americani, primo perché cercano proprio di evitare un conflitto diretto con l’Iran, e secondo perché invece stanno colpendo gli alleati di Teheran all’estero che attaccano le truppe Usa o le vie di comunicazione e trasporto, come fanno gli Houti nel Mar Rosso.

Beirut è un altro discorso, che anzi lascia supporre come l’intervento israeliano a Gaza stia effettivamente mutando, secondo gli auspici di Washington che vuole meno vittime civili. Saleh al Arouri, come hanno notato tanto Kirby quanto Miller, era “un brutale terrorista”, e quindi la sua eliminazione sarebbe giustificata dalla strage commessa da Hamas il 7 ottobre. Proprio ieri, peraltro, il New York Times ha scritto che l’intelligence americana ha confermato di avere le prove secondo cui l’ospedale al Shifa della Striscia è stato utilizzato per detenere gli ostaggi e gestire le operazioni militari di Hamas.

Il segretario di Stato Blinken ha rimandato alla prossima settimana la sua visita, ma ha comunque l’obiettivo di riprendere le pressioni affinché i bombardamenti generalizzati su Gaza finiscano, per concentrarsi invece su operazioni come quella contro Arouri. Blinken insisterà anche sulla necessità di lavorare ad un futuro che preveda la soluzione dei due stati, con il ruolo guida dell’Autorità di Ramallah.

Proprio per questo ieri Washington è tornata a stigmatizzare le dichiarazioni dei ministri Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, che sollecitano l’espulsione dei palestinesi da Gaza: «Sono posizioni in contraddizione con la linea dello stesso premier Netanyahu, che raggiungono solo lo scopo di infiammare ancora di più la regione».

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