Le riserve degli italiani verso 2 mila miliardi. Ma dietro il boom di liquidità c’è una bomba sociale

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MILANO – Un serio problema per l’economia e una bomba sociale si nascondono dietro l’apparente crescita della ricchezza degli italiani e delle loro imprese durante la pandemia, con le riserve liquide parcheggiate in banca che puntano ormai quota 2 mila miliardi di euro, più del prodotto nazionale.

Incertezza, calo dei consumi e degli investimenti: le ragioni dell’esplosione delle riserve

“Non è un bel numero, a differenza di quel che può sembrare. Ma è anche un’opportunità”, ragiona Stefano Caselli, pro-rettore dell’Università Bocconi di Milano. Cominciando dal lato oscuro del boom di liquidità parcheggiata in banca, basta elencarne le ragioni per capire che è il frutto di un corto-circuito. Sul lato delle famiglie hanno giocato tre fattori: “Il primo è che sono crollati i consumi: le persone viaggiano di meno, si chiudono in casa e le spese scendono. Quindi l’ammontare del conto corrente sale”. Ricordare i dati della Confcommercio – con una stima di consumi bruciati ben oltre 100 miliardi – è sufficiente per dare una dimensione del fenomeno. “Il secondo tema è l’atteggiamento delle persone: nei momenti d’incertezza la paura del futuro porta la propensione al risparmio a salire“, con una spirale “prudenziale” dalla quale aveva messo in guardia a tempo debito il governatore Visco. “Il terzo aspetto è legato alla correzione che i mercati finanziari hanno registrato all’inizio della pandemia, pur recuperando successivamente: i risparmiatori parcheggiano la liquidità in attesa di capire dove investire“. L’insieme di questi fattori ha fatto crescere, ha stimato Unimpresa, i depositi delle famiglie di 66 miliardi (+6%), arrivando a quota 1.109 miliardi.

Le riserve delle famiglie e delle imprese italiane 

Ancor più rilevante l’incremento sul lato delle imprese: i ‘salvadanai’ delle aziende sono saliti di quasi 74 miliardi (+24%), arrivando a un passo da 385 miliardi. Nel caso delle imprese familiari i c/c si sono gonfiati di 11 miliardi (+18%) fino a quota 75 miliardi. In questo caso, la dinamica si spiega con un solo grande tema: il rinvio delle decisioni d’investimento. “Con i consumi in caduta libera e l’incertezza nel progettare il futuro, la reazione di ogni imprenditore è posticipare gli investimenti. Non vuol dire per forza stoppare grandi progetti di acquisto di impianti e o macchinari – dettaglia Caselli – Ma anche semplicemente rimandare il rinnovamento dei locali di un esercizio commerciale”. Opzione che, nei numeri aggregati, è stata evidentemente più forte della sete di liquidità che tante aziende hanno patito a causa dello stop ai flussi di ricavi.

Questo insieme di cause “non certo piacevoli” ha spinto dunque la massa di risparmi degli italiani verso quota 2 mila miliardi di euro. Unimpresa traccia il quadro pandemico complessivo: le riserve degli italiani sono aumentate di oltre 133 miliardi (+7%), dai 1.823 miliardi di dicembre 2019 ai 1.956 miliardi di dicembre 2020. È cresciuta, in particolare, la liquidità sui conti correnti, con il saldo totale arrivato a 1.348 miliardi, in aumento di oltre 166 miliardi (+14%) in 12 mesi.

Il problema dei nuovi poveri: le forbici si allargano

Dietro i grandi numeri, però, si nascondono storie assai diverse e differenti ordini di problemi. Il primo è di natura sociale: mai come nel caso di uno choc improvviso e profondo come la pandemia, le forbici rischiano di allargarsi pericolosamente. “La crescita dei risparmi si accompagna all’aumento inquietante della povertà assoluta di molte famiglie italiane, che ormai ha raggiunto una incidenza molto forte – riflette Marcello Messori, economista e docente alla Luiss Guido Carli – e ci dice di una polarizzazione del reddito”. Per Caselli “l’aumento dei nuovi poveri italiani è un dato durissimo, non degno di un Paese civile”. Secondo la recente fotografia Istat, un milione di persone è entrato nella fascia di povertà assoluta con un peggioramento marcato nelle più ‘ricche’ aree del Nord. “L’aumento del divario sociale è una vera e propria bomba: quando ci troveremo ai blocchi della ripartenza, speriamo il prima possibile, chi ha un reddito fisso e liquidità potrà fare uno sprint. Ma ci saranno persone neppure in grado di ripartire”.

Ormai più fonti di dati hanno confermato che blocco dei licenziamenti e ammortizzatori sociali hanno aperto un ombrello formidabile sui garantiti, mentre a uscire dall’attività sono stati i contratti determinati in scadenza (e non rinnovati), gli autonomi, chi non poteva fare smart working: i più fragili. E’ una logica conseguenza, dunque, immaginare che chi ha difeso il reddito da lavoro senza poter spendere – a causa delle limitazioni imposte per decreto – abbia ora c/c rimpinguati. “Da parte del governo ci vuole una grande azione dedicata al dramma sociale dei nuovi poveri”, sprona Caselli. Idem per le imprese, dove la differenza la fa “il fatto che alcune sono arrivate alla crisi ben capitalizzate e ripartiranno, mentre altre faticheranno”.

Il denaro improduttivo e la necessità di smuoverlo per far ripartire il Paese

L’altro aspetto problematico di questa fotografia del materasso di liquidità accumulato dalle famiglie coinvolge i meccanismi delle scelte finanziarie degli italiani. “Una parte sempre più consistente della ricchezza”, annota Messori, “viene utilizzata in attività molto liquide: depositi e conti corrente. La pandemia ha esasperato un fattore che era già presente in Italia: i detentori della ricchezza la custodiscono in attività finanziarie molto lontane dall’impiego produttivo e dalle forme che supportano direttamente o indirettamente le imprese”. Ragione per cui le aziende italiane sono storicamente dipendenti dal credito bancario per finanziarsi: “Abbiamo un giacimento di ricchezza detenuto in una forma che non serve all’economia reale”. Per altro, in un momento storico dei mercati che allarga ulteriormente le forbici: con i tassi negativi dilaganti sugli investimenti più sicuri e i mercati azionari ai massimi, ad accumulare nuova ricchezza sono stati i più propensi ad assumersi i rischi: non sono questi i profili tipici dei “piccoli” investitori. “Questo ha determinato una ulteriore polarizzazione: da una parte c’è chi detiene liquidità a scopo puramente difensivo; dall’altra chi si assume rischi, perché le uniche attività finanziarie in grado di dare rendimento sono proprio quelle rischiose, e trae guadagni”.

Mettere in circolo i risparmi, ecco le idee

Se questo è il quadro, fortemente a tinte scure, come questa montagna di ricchezza privata può diventare un’opportunità? “Ridistribuire ricchezza e reddito” è l’imperativo principale, per Messori. “Spingerne una parte consistente verso il mondo produttivo, dal più piccolo esercizio commerciale alla grande impresa”, dice Caselli.

Esperimenti, dai Pir in giù, ne sono stati fatti con risultati poco esaltanti. “Bisogna educare e invogliare gli italiani a investire in fondi pensione e polizze Vita, in modo che questi investitori istituzionali possano mettere in circolo le risorse a loro affidate”, suggerisce Messori. “Una strada in cui credo tantissimo è quella degli Impact bond: obbligazioni che generano un impatto concreto, finalizzate oggi a salvare le imprese e domani a generare occupazione”: Caselli immagina un meccanismo in cui le aziende, anche di piccolissime dimensioni, possano raggrupparsi in filiere, distretti, aggregati territoriali (un “bond di città”) per chiedere denaro agli investitori e restituirlo su scadenze almeno decennali, solo dopo un periodo sufficiente di respiro che non preveda rate di rimborso, per dar tempo loro di ripartire. “I risparmiatori potrebbero esser soddisfatti anche con rendimenti inizialmente poco superiori al livello zero, visto il dilagare dei tassi negativi sul mercato. Poi, in una seconda fase, i ritorni potrebbero esser legati alla crescita dei ricavi delle imprese”. Dal lato del governo, questi meccanismi dovrebbero esser stimolati con la leva delle agevolazioni fiscali. Sulla falsariga, ad esempio, di quel che avviene negli Usa con il Venture capital, dove il capital gain è detassato qualora venga reinvestito in poco tempo in nuovi progetti di crescita delle imprese.

Esclusa una ipotesi di “patrimoniale re-distributiva”, il timore è che questa opportunità torni come un boomerang tra qualche anno. “Non vorrei che, una volta superata l’emergenza e ripristinate, seppure ammorbidite come ci ha indicato il commissario Gentiloni, le regole del Patto di stabilità europeo all’Italia venga richiesto di metter mano a quella ricchezza privata per far fronte agli oltre 2.400 miliardi di debito pubblico. Farsi trovare pronti alla ripartenza, anche mettendo in circolo quelle risorse, è l’unico modo per evitare questi pensieri”, chiosa Caselli.

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