Mafia e petrolio, arrestata Ana Bettz: “Era a capo dell’impresa criminale”. Soldi in nero a Gabriel Garko, sequestrato un miliardo e mezzo

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Quando è stata fermata a bordo della sua Rolls Royce stava cercando di superare il confine di Ventimiglia. Nel cofano della sua auto c’era una borsa con 300 mila euro in contanti. Anna Bettozzi, in arte Ana Bettz, deve aver capito che i finanzieri non la avevano fermata casualmente. Del resto quel 16 maggio del 2019 i baschi verdi hanno trovato anche un nascondiglio dove custodiva un milione e 700 mila euro.

Quello che l’ereditiera del petroliere Sergio Di Cesare non poteva sapere è che la finanza era sulle sue tracce già da un po’, da quando la procura di Ancona aveva ascoltato alcune conversazioni nell’ambito di un’indagine sul mancato versamento delle accise e sulla commercializzazione di carburante di contrabbando.

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Da quel momento infatti è partita l’inchiesta che questa mattina ha portato i comandi provinciali della guardia di finanza di Roma, Napoli, Reggio Calabria e Catanzaro a notificare 75 ordinanze di custodia cautelare. L’operazione coordinata da quattro diverse procure Antimafia ha portato anche al sequestro di circa 1 miliardo di euro.


Secondo le accuse Anna Bettozzi, procuratrice speciale e amministratrice della Maxpetroli Italia, e la figlia Virginia Di Cesare, avrebbero promosso “un’associazione a delinquere” mafiosa finalizzata ad frodare il fisco, dimenticando di versare iva e accise, riciclando il denaro, corrompendo e rivelando segreti d’ufficio. Il tutto servendosi anche del “denaro proveniente da associazioni criminali organizzate anche di stampo camorristico”.

Le indagini hanno portato alla luce “omessi versamenti di oltre 172 milioni di iva”, più di 12 milioni di accise, 78 mila euro di Ires, per un totale di oltre 185.622 milioni euro. Il denaro sarebbe poi stato reinvestito in attività commerciali, investimenti immobiliari e sponsor: come quando nel marzo 2019 sono state versate 250 mila euro, di cui 150 mila in contanti, all’attore Gabriel Garko, per una pubblicità della Maxpetroli.

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Le intercettazioni carpite dalla procura di Ancona infatti hanno messo gli inquirenti sulle tracce della Maxipetroli, la società di Anna Bettozzi. La donna, nata a Porto Rotondo e un tempo vicina di casa di Silvio Berlusconi, ha iniziato la sua carriera nel settore immobiliare. Poi è entrata nel mondo dello spettacolo e alla fine la svolta: ha sposato il petroliere Sergio Di Cesare, lo stesso uomo con cui nel 1999 venne sequestrata in una villa romana. I rapinatori rubarono 100 milioni di lire prima di sparire nel nulla.

Ereditata la chiacchierata azienda petrolifera del marito, la donna ha cercato di risollevare la compagnia. E per farlo però sarebbe entrata in contatto con il clan dei Casalesi, la famiglia Moccia o i Formicola. E così facendo in soli 36 mesi il giro d’affari della Maxipetroli è cresciuto esponenzialmente, rendendo il fatturato 45 volte superiore.

Bettz: “Io ho soci Berlusconi e Tronchetti Provera”

Nell’indagine emerge la figura di Alberto Coppola: è riuscito a rivitalizzare la Maxpetroli mediante un’iniezione di liquidità nel momento del bisogno, grazie agli investimenti del denaro della Camorra. Sono numerosi i colloqui telefonici tra Coppola e la Bettozzi. E i rapporti spesso sono tesi: “Alberto io non sono abituata così! Perdonami. Perdonami io ho soci che si chiamano Tronchetti Provera e Silvio Berlusconi”, dice la donna non sapendo di essere intercettata.


Il rapporto tra Coppola e Bettozzi nasce nel 2017, “tramite un social network”. Coppola già da un po’ “è inserito nel settore della vendita di carburanti e dispone agevolmente di società da utilizzare per le frodi. La Bettozzi, che ben conosce i meccanismi fraudolenti già contestati al marito dal quale ha ereditato l’azienda, non è affatto una sprovveduta nel coltivare un rapporto apparentemente stravagante”. È Coppola a inserire la Bettozzi nel mondo campano, dove società presentano finte dichiarazioni di intento d’acquisto, fatturando poi fittiziamente. Così in un garage, dimostrano le indagini, avevano sede decine di aziende, gestite di fatto da personaggi di facciata che al telefono si confondevano anche sul nome delle società che avrebbero dovuto rappresentare.

A complicare però le indagini, inizialmente agevolate da intercettazioni esplicite e società palesemente fittizie, sono stati alcuni uomini delle forze dell’ordine e dell’agenzia delle dogane che avrebbero aiutato gli indagati rivelando segreti d’ufficio. Non è bastato. La signora, che in passato ha affidato la cura della sua immagine a Lele Mora, trascorrendo la vita tra feste nella Capitale e nella villa di Punta Lada, tra comparsate a “Domenica in” e “Quelli che il calcio”, è abituata ad essere seguita dai paparazzi. Non aveva ben capito, che a seguirla, erano anche i finanzieri. Antimafia e Antiterrorismo contestano anche l’aggravante mafiosa. 

E così oggi sono state sequestrate circa 100 società, beni di lusso e conti correnti in Ungheria, Bulgaria, Grecia, Malta, Inghilterra e Croazia. Solo su richiesta della procura di Roma sono stati messi i sigilli a tutti gli impianti della Maxipetroli, un sequestro da 180 milioni di euro che va a sommarsi ad atri 180 milioni già nelle mani della finanza. E poi borsoni pieni di soldi, camion, macchine, ville e appartamenti.

La boa per far attraccare le petroliere

Importante per capire la caratura del sodalizio è la riunione del gennaio 2019, a Vibo Valentia. Partecipano tra gli altri un rappresentante dell’azienda di idrocarburi Kmg, la KazMunaiGaz del Kazakistan, due broker arrestati adesso a Milano, Luigi Mancuso dell’omonima famiglia e altri personaggi in odor di mafia. L’argomento è chiaro: fare arrivare il petrolio in Calabria. A tavola si discute per creare una boa capace di far attraccare le petroliere, facendo arrivare il petrolio evitando di passare dal porto di Gioia Tauro, una zona sotto il controllo di altre famiglie mafiose non coinvolte nell’affare.

“Ancora una volta è stata dimostrata l’insufficienza del concetto di infiltrazione criminale per spiegare la presenza delle associazioni mafiose nel mercato, attraverso una costellazione di aziende che offrono una capacità di garantire servizi illegali come quello messo in atto con società cartiere intestate a prestanome che offrono false fatturazioni, che consentono straordinari profitti”, afferma il procuratore di Napoli, Giovanni Melillo.

“La parte romana ha riguardato l’operatività di un gruppo radicato da anni nella Capitale, che storicamente ha fatto registrare la propria presenza in regime di monopolio dei prodotti petroliferi. Seguendo le vicende di questo gruppo è emersa la presenza di personaggi legati a importanti gruppi di Camorra che hanno fatto da tramite tra questo gruppo imprenditoriale e gruppi di riferimento mafiosi che hanno autorizzato questo rapporto per finanziare il gruppo imprenditoriale traendo vantaggi e profitti”, dice il procuratore capo di Roma, Michele Prestipino.

Gratteri: “Il petrolio frutta più della droga”

“Come dicono le intercettazioni ‘il pertrolio sta fruttando più della droga’”, aggiunge il capo dei magistrati di Catanzaro, Nicola Gratteri. Lo sa bene Antonio Moccia, personaggio di spicco del più antico e potente sodalizio camorristico operante nella bassa Liburia, che si è mosso in prima persona per mettere le mani sull’affare. “Dove ci sono i soldi le mafie intervengono. Dalla Turchia a Malta vengono proiettati gli interessi degli indagati”, continua Giovanni Bombardieri, capo della procura di Reggio Calabria. Gavino Putzu, della finanza di Roma, ricorda come il petrolio “sospetto”  finiva nelle “pompe bianche” falsando il mercato. L’astuzia dell’organizzazione è dimostrata dal trucco escogitato per trasportare il gasolio per autotrazione spacciandolo come gasolio agricolo, quindi sottoposto ad accise differenti. I camion, rivelano le indagini, erano dotati di leve e pulsanti che facevano esplodere un colorante in grado di cambiare il colore del gasolio per camuffarlo.

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