Mar Rosso sotto attacco. “I ribelli Houthi risparmiano le petroliere?”

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Ma i ribelli Houthi indirizzano i loro attacchi contro tutte le navi oppure si concentrano solo sui container e “risparmiano” le petroliere? A porre l’interrogativo è il centro studi “Giuseppe Bono”, il think thank presieduto da Massimo Ponzellini, che prende il nome dall’ex ad di Fincantieri scomparso lo scorso anno, che ha monitorato la situazione della quarta via marittima più trafficata al mondo, quella del Mar Rosso con lo sbocco nel Canale di Suez e l’ingresso nel Mediterraneo.
“Una più attenta valutazione di quanto sta accadendo nel Mar Rosso – spiega il Centro in una nota – evidenzia sul fronte energia due elementi determinanti: se si eccettua il caso di una petroliera norvegese, il traffico di petrolio nel Mar Rosso sembra godere di una sorta di lasciapassare da parte degli Houthi. E molti analisti mediorientali pensano che ciò possa riflettere l’intenzione dell’Iran di evitare un’escalation del conflitto inevitabile se fosse colpito il traffico petrolifero (un quarto del traffico mondiale transita attraverso Bab el Mandeb). Non solo. Per il petrolio iraniano di alta qualità, il beneficio di un comunque inevitabile aumento delle quotazioni (non fosse altro per i premi assicurativi rischio guerra) sta rappresentando un vantaggio concreto specie per quanto riguarda l’export verso la Cina”.
Secondo l’indagine del Centro “Giuseppe Bono” il numero medio delle navi petroliere in transito nella zona a rischio missili e droni è praticamente immutato rispetto alle medie del 2023, mentre le uniche navi cisterna dirottate sulla rotta della circumnavigazione dell’Africa “sono tutte operate direttamente o indirettamente da interessi americani o israeliani”.
Sempre secondo i risultati dell’analisi in corso, “mentre il milione di barili di greggio in transito nell’area a rischio non dovrebbe subire eccessivo impatto dalle azioni dei ribelli Houthi, ben diverso sembra essere il crash sul traffico di gas, in particolare quello del Qatar ma anche sull’oleodotto transarabico sino al porto di Yanbu sul Mar Rosso. Traffico considerato da numerose “intelligence” ad alto rischio. E non è un caso che anche il gasdotto fra Egitto e Israele, abbia cessato di operare e quindi di garantire forniture all’Egitto già a poche ore dall’avvio dell’operazione Gaza. Idem per l’oleodotto fra Eilat sul Mar Rosso e Ashdod, sulla costa mediterranea di Israele. Oleodotto che (per ironia della storia) fu costruito da una joint venture israelo-iraniana prima dell’avvento al potere dell’Ayatollah Khomeini”.
La comparazione fra le analisi in atto, svolte da differenti enti di ricerca e soggetti, porta quindi a ulterori interrogativi: il primo sul recente blocco di Suez causato dalla portacontainer Ever Given: “Fu davvero causato da una tempesta di sabbia o da un errore umano? Oppure da un cyber attack?” si domanda il centro. E a proposito di cyber attack, il livello di alert su tutte le infrastrutture sottomarine in Mediterraneo è ormai in costante rialzo da settimane. “Proprio in questa ottica – chiude la sua analisi il Centro “Giuseppe Bono” il ruolo svolto dalla Marina militare italiana può rivelarsi decisivo e ben più rilevante rispetto all’azione deterrente svolta dalla singola nave oggi in missione nel Mar Rosso”.

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