Nel settembre 2017, erano tre donne sole in un paese con forti presenze mafiose, Mezzojouso. Anna, Ina e Irene Napoli affidarono le loro denunce a Repubblica: “Qualcuno vuole costringerci a cedere la nostra azienda attraverso continue incursioni di animali”. I carabinieri avviarono un’indagine, intanto la storia delle tre sorelle della provincia di Palermo diventava un caso nazionale attraverso il talk show di Massimo Giletti, “Non è l’Arena”. Da allora raid e minacce sono venute meno. Ma, oggi, il tribunale di Termini Imerese presieduto da Sandro Potestio ha in parte scagionato nel merito e in parte dichiarato la prescrizione per i cugini Giuseppe e Simone La Barbera, per Antonino Tantillo e per Liborio Tavolacci.
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Erano loro i quattro imputati, per i quali la stessa procura di Termini Imerese aveva chiesto l’assoluzione, per mancanza di prove a loro carico, e la prescrizione. Eppure, nel 2018, la stessa procura aveva chiesto l’arresto per i presunti responsabili dei raid. Adesso, il tribunale consacra un’altra storia: i quattro imputati non hanno nulla a che fare con quanto avvenuto nei terreni delle sorelle Napoli, nulla a che vedere con i tentativi di portare via l’azienda. Solo la violenza privata consistita nel lancio di sassi contro le proprietà delle tre donne è caduta in prescrizione.
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“E allora chi è stato a commettere tutti quei danneggiamenti?”, si chiede oggi l’avvocato Giorgio Bisagna, legale di parte civile delle sorelle Napoli. “Le sentenza vanno sempre rispettate – dice – ma adesso si pone un serio problema di sicurezza per le mie assistite”. Irene Napoli è amareggiata: “Dopo tante denunce non abbiamo avuto giustizia – dice – francamente non mi aspettavo questo finale. La giustizia non ci ha tutelato”.
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