Pensioni, senza l’assistenza pesano solo per il 13% del Pil. Idea superbonus per chi lavora fino a 71 anni

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ROMA – Il sistema previdenziale italiano è «sostenibile» con 1,44 lavoratori per ogni pensionato. E lo sarà «anche tra 10-15 anni», quando la maggior parte dei baby boomer, nati dal dopoguerra al 1980, si sarà pensionato.

Lo sarebbe ancora di più, per l’XI Rapporto di Itinerari previdenziali presentato oggi alla Camera, se la spesa per l’assistenza fosse scorporata da quella per la previdenza.

Vorrebbe dire un’Italia virtuosa che per le pensioni spende il 13% del Pil, «in linea con la media europea del 12,6%». E non il 16,7%, come comunicato da Roma a Bruxelles nel 2022.

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Spesa previdenziale sotto controllo

Alberto Brambilla, autore del Rapporto e presidente di Itinerari Previdenziali, crede da anni nello scorporo delle due voci di spesa. Per un motivo ben preciso: «È fondamentale evitare che eccessive sovrastime convincano l’Europa a imporre tagli alle pensioni che presentano invece una spesa tutto sommato sotto controllo». Questo non significa che sulle pensioni non ci sia niente da fare. Anzi il professore, un tempo consigliere di Matteo Salvini, ha rotto con la Lega proprio quando nel 2019 l’allora vicepremier si inventò Quota 100, seguita poi dalle gemelle Quota 102 e Quota 103.

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«Le pensioni devono smettere di essere terreno di conquista e di facili consensi, ci vuole un patto di non belligeranza», rimprovera Brambilla alla politica. «L’Italia prenda consapevolezza di essere dinanzi alla più grande transizione demografica di tutti i tempi». Tradotta nella “gobba previdenziale”, il livello più alto della sua storia con un numero di pensionati massimo e di molto superiore a quello dei lavoratori attivi.

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Per Brambilla le soluzioni sono tre. Primo: «Limitare le numerose forme di anticipazione a pochi ed efficaci strumenti, come fondi esubero, isopensione e contratti di solidarietà». Secondo: «Bloccare l’anzianità contributiva a 42 anni e 10 mesi per gli uomini, un anno in meno per le donne» con sconti per le madri e i lavoratori precoci e un «superbonus per quanti scelgono di restare al lavoro fino a 71 anni». Terzo: «Equiparare le regole di pensionamento dei contributivi puri (i post-1996) a quelle degli altri lavoratori».

Perché scorporare l’assistenza dalla previdenza

Nel 2022 l’Italia ha speso 559 miliardi per le prestazioni sociali: pensioni, sanità e assistenza. Il 6,2% in più del 2021 e più della metà della spesa pubblica totale. Di questi però “solo” 248 miliardi riguardano le pensioni, coperte dai contributi versati da imprese e lavoratori. Se leviamo anche l’Irpef, si scende a 165 miliardi netti, l’8,64% del Pil.

L’assistenza invece pesa per 157 miliardi: 4 milioni di prestazioni pagate dallo Stato a 3,7 milioni di beneficiari totalmente assistiti e altre 6,7 milioni di prestazioni per 2,8 milioni di soggetti parzialmente assistiti, con una qualche dote di versamenti contributivi.

In totale, «i pensionati totalmente o parzialmente assistiti sono 6,6 milioni, il 41% del totale» dei pensionati italiani che sono 16,1 milioni a cui va quasi la metà (46%) delle prestazioni erogate da Inps.

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«Una percentuale che non sembra rispecchiare le reali condizioni socio-economiche del Paese», sottolinea Brambilla. «A differenza delle pensioni finanziate dai contributi sociali, questi trattamenti gravano del tutto sulla fiscalità generale, senza neppure essere soggetti a tassazione».

Parliamo di invalidità civile, accompagnamento, assegni sociali, pensioni di guerra, integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali.

Ecco perché separare le due spese: assistenza e previdenza. Per vederci chiaro, fare pulizia, spendere meglio. E capire come mai in dieci anni (2012-2022) la spesa per assistenza è lievitata del +126%. Nel 2008 era a 73 miliardi. Ora siamo a più del doppio, con un tasso di crescita annuo di quasi l’8%, tre volte superiore a quello delle pensioni.

Nel frattempo la povertà non arretra, visto che i poveri assoluti erano 2,1 milioni nel 2008 e 5,6 milioni nel 2021. «Spendiamo molto e spendiamo male», dice Brambilla che rilancia l’idea di una banca dati dell’assistenza e di un’anagrafe centralizzata dei lavoratori attivi.

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