Sola in casa col figlio di un anno, lo strangola. Il padre: sono morto anch’io, non mi perdono

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VOGHERA – «Sono morto anch’io: non potrò mai perdonarmi di essere andato al lavoro, di averla lasciata sola. Non stava bene, ma una simile tragedia era inimmaginabile». Maurizio Baiardi esce a tarda ora dalla caserma dei carabinieri di Voghera. È un padre distrutto. Poco prima delle 8 di mattina sua moglie, Elisa Roveda di 45 anni, ha ucciso il loro bambino. Luca avrebbe compiuto un anno a fine mese. Ora la donna è piantonata in psichiatria nel Policlinico San Matteo di Pavia. Il sostituto procuratore Paolo Mazza non ha potuto interrogarla, per formalizzare arresto e imputazione di omicidio volontario. Elisa, che da mesi soffriva di una grave forma di depressione, è sedata e sotto choc. «Ho ucciso io mio figlio», si è limitata a dire ai carabinieri. Poi si è chiusa nel silenzio.

Il dramma di questa mamma, che secondo i rilievi del rianimatore ha stretto le sue mani attorno al collo del bambino, morto soffocato, gela l’intera comunità lombarda. Elisa e Maurizio, dopo una lunga convivenza, si erano sposati nel 2017. Per cinque anni hanno superato enormi difficoltà, e drammi emotivi pesanti, per riuscire a dare finalmente alla luce un figlio. Coronato in extremis il sogno della loro vita, la madre è però precipitata nel gorgo della depressione, in modo apparentemente inspiegabile.

Dopo la maternità il rientro part-time nello studio di commercialisti in cui era impiegata: poi, dai primi di giugno, lo stop per malattia e le cure a base di psicofarmaci. Un disagio psichico profondo, al punto che i medici avevano suggerito ai famigliari di «sorvegliarla giorno e notte» per evitare gesti estremi verso se stessa. Fino all’epilogo peggiore.

Mamma strangola il suo bambino di un anno, la nonna arriva e chiama i soccorsi, ma è tardi: la tragedia a Voghera

Papà Maurizio, camionista per una ditta di Tortona, alle 6.30 si alza e consuma la colazione con il piccolo Luca. Elisa, dopo una notte agitata, dorme. Causa una consegna urgente, l’uomo è costretto a uscire di casa in anticipo, verso le 7.30. Non può attendere le 8, quando sarebbe arrivata a dargli il cambio nonna Angela, madre della moglie. «Sembrava — dice Maurizio — tutto tranquillo. Elisa si è svegliata e mi ha detto di andare, di non preoccuparmi, di sentirsi meglio».

Poco dopo le 8 la nonna di Luca, che abita a duecento metri di distanza, suona invano alla palazzina di Via Mezzana 84. «Non apro — grida sconvolta la figlia al citofono — è successa una cosa terribile. Vai via». È proprio Angela, intuendo il peggio, a far scattare subito emergenza e soccorsi. Quando carabinieri e sanitari del 118 entrano nella mansarda abitata dalla coppia, per Luca non c’è più nulla da fare. «Ho ritardato di qualche minuto — dice la nonna — per andare a fare la spesa prima del caldo. Elisa era in uno stato di prostrazione tale da non riuscire nemmeno a preparare i pasti: al pranzo pensavo io».

Per consentire alla donna di restare a casa accanto al suo bambino, evitando il dolore di un ricovero in clinica, nonna Angela e una zia da settimane facevano i turni di vigilanza, dando il cambio al marito Maurizio. «Una famiglia unita e serena — dice il vicino Nico Casanova — quasi ogni giorno Elisa e sua mamma uscivano a passeggio con la carrozzella. Luca era il loro orgoglio, ridevano e lo accarezzavano. Elisa era stata male anche da piccola, poi aveva sofferto per la separazione dei genitori: dopo il matrimonio, e in particolare dopo la nascita di Luca, pareva tutto alle spalle, il suo volto sembrava felice».

Qualcosa, al contrario, si era rotto. «All’improvviso — dice il nonno Marco — mia figlia ha avuto paura di tutto. Diceva di sentirsi stanca, non voleva più guidare, non voleva più uscire di casa, non sopportava che il bambino piangesse. È stata visitata più volte dei medici, era in cura per la depressione: due settimane fa, quando l’ho vista per l’ultima volta, sembrava in ripresa. Ho sperato che guarisse, invece no: il bambino però non lo doveva toccare, adesso tutto è finito anche per lei».

Nessun problema economico, nessun problema di lavoro, nessuno screzio con il marito Maurizio, la gioia immensa del piccolo Luca, tutta la famiglia accanto a lei. Quando i carabinieri sono entrati in casa si sono invece trovati davanti una donna «assente, muta e indifferente», forse sconvolta dai farmaci. Nonna Angela piangeva disperata. Il corpo di Luca era nel lettone: stesa accanto a lui, mamma Elisa, come ogni mattina, quasi in attesa del suo risveglio.

«Sono padre anch’io — dice uno dei militari accorsi sul posto — non ho avuto il coraggio di guardare». Rilievi, autopsia e interrogatorio della madre devono ora chiarire cosa è successo esattamente nella mezz’ora in cui Elisa è rimasta sola con il figlio, cosa può aver scatenato la violenza del raptus. Negli ultimi sei anni in Italia gli infanticidi sono stati 116. Nel 67% dei casi a uccidere sono stati i padri, nel 33% le madri, spesso vittime di depressione post-partum. Le indagini non hanno mai fatto luce sul buio di un dolore così spietato da spingere a togliere la vita a chi le dà un senso.

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