Stipendi, la crescita lenta non tiene il passo dell’inflazione. Ecco i settori che pagano meglio

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Un aumento dell’1,8 per cento nel giro di un anno, ancora (quasi) quattro punti sotto la dinamica dei prezzi. Ecco la fotografia “di mercato” di come si sono mossi i salari dei lavoratori italiani nel corso del 2023, restituita dal Salary Outlook dell’Osservatorio JobPricing e rappresentativa dell’universo dei dipendenti del settore privato. La retribuzione annua lorda (Ral) media si è portata a 30.838 euro, dai 30.284 dell’anno precedente. Leggermente meglio la retribuzione globale annua (Rga, comprensiva di parte variabile) che sale di due punti percentuali raggiungendo quota 31.442 euro.

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«Si tratta di un aumento rilevante se comparato alla tendenza registrata dal 2015 al 2023, che è “solo” del +7,5%», commenta Federico Ferri, senior partner di JobPricing. Che non nega: «Ci aspettavamo una crescita ancora superiore, più vicina a quella registrata lo scorso anno (fu del 3,4%, ndr), anche in considerazione del rinnovo dei minimi di alcuni contratti importanti, come quello dell’industria metalmeccanica». Unito al +5,7% dell’inflazione, il dato lascia l’amaro in bocca: «Nonostante gli interventi sul cuneo fiscale, il rischio è di perdere ulteriore potere di acquisto e, di conseguenza, consumi». Tutti gli inquadramenti, in effetti, si scoprono più poveri.

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Operai in paradiso?

Se non altro, gli ultimi si scoprono primi, ma non possono festeggiare: la Ral degli operai è quella che in termini relativi ha segnato la performance migliore (+2,2%) a fronte di variazioni intorno all’1,5% per gli altri inquadramenti. Dato che vale anche se si amplia lo sguardo al periodo dal 2015 al 2023, durante il quale gli inquadramenti inferiori hanno messo insieme un +8,9% di aumenti contro il +0,5% dei dirigenti. Poca cosa a fronte di prezzi cresciuti di quasi 20 punti percentuali. «Le aziende hanno probabilmente concentrato gli investimenti sulle categorie più deboli della loro forza lavoro, che hanno contemporaneamente beneficiato in misura maggiore del rinnovo dei minimi contrattuali – spiega Matteo Gallina, responsabile dell’Osservatorio – Inoltre, la crescente domanda di lavoro da parte delle imprese, e la mancanza di offerta anche per i profili meno professionalizzati, ha probabilmente spinto al rialzo i salari in questa categoria».

Insieme agli operai, anche il Mezzogiorno vive una fase di vittoria senza festa. Le buste paga al Sud sono più leggere di quelle del Nord di oltre 4.200 euro in termini di Rga, ma il trend di crescita è molto più sostenuto sia nell’ultimo anno (+2,2% contro +1,9%) che nel periodo dal 2015 (+9,4% contro +5,8%). Lombardia (34.033 euro di Rga), Trentino-Alto Adige (32.560 euro) e Liguria (32.317 euro) sono le Regioni che pagano di più, ma Puglia e Campania sono quelle più frizzanti.

Livellati al ribasso

Conosciamo il ritornello Ocse per il quale le nostre buste paga, da quando sono entrate nei Duemila, sono rimaste al palo a fronte di Paesi come Francia e Germania cresciuti del 21 o 15 per cento. Se non altro, la distribuzione dei salari tra i lavoratori a tempo pieno è meno diseguale che altrove. Ma è un livellamento al ribasso: nella curva salariale di JobPricing, più di otto dipendenti su dieci stanno sotto la soglia di 31mila euro.

In parte, soprattutto nel post-Covid, in soccorso delle famiglie sono arrivati i piani di assegnazione di benefit e welfare aziendale. La diffusione dei primi, però, rimane limitata al 24% degli operai, mentre raggiunge l’80% dei dirigenti. E il welfare? Riguarda circa un terzo dei lavoratori del mercato, con un valore medio di 769 euro, in leggero calo rispetto al 2022: segno di un rinculo avvenuto con l’uscita dell’emergenza pandemica e dal picco dei rincari, e probabilmente anche frutto di un effetto-spiazzamento delle aziende dal cambio ripetuto della normativa di riferimento.

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Chi paga meglio

Dove si trovano le migliori prospettive retributive? Le banche e i servizi finanziari fanno un campionato a sé (Rga sopra i 50mila euro, si veda la tabella in pagina), ma in generale il mercato penalizza i settori con una maggiore prevalenza di professionalità generiche e premia quelli con competenze specializzate. Un po’ è una logica conseguenza della minore presenza, nelle banche come nel pharma o nell’ingegneria e nelle assicurazioni, di inquadramenti operai. E in effetti anche da questo punto di vista la scarsità di manodopera sperimentata negli anni post-lockdown, così come un generale interrogarsi su quanto valga la pena di impegnarsi «per stipendi da fame» ha avviato una sorta di rivincita dei più umili. Tolti moda e lusso (+4,7%) e settore navale (+4,6%), tra gli ambiti con le buste paga più dinamiche dell’ultimo anno si trovano i servizi alla persona e l’intrattenimento (+3,6%), la grande distribuzione (+2,8%), il tessile (+2,6%).

Un timido segnale di speranza arriva dalla crescita più consistente degli assegni degli under 35, saliti di oltre il 4% nel 2023 e con tasso sensibilmente migliore anche nell’orizzonte dal 2015. Senz’altro sono giovani più qualificati, con competenze – digitali, ad esempio – che è difficile diffondere tra le altre fasce di popolazione aziendale. E forse hanno anche iniziato a girare l’impugnatura del coltello, in sede di trattativa.

Controintuitivo pare anche il dato che premia la progressione retributiva nelle Pmi rispetto alle grandi imprese. Si spiega, dice Ferri, «probabilmente con la situazione di difficoltà che la maggior parte delle imprese sperimenta nel reperire manodopera sul mercato e a trattenere i dipendenti chiave. Le piccole spesso possono contare su una offerta retributiva meno articolata e complessa rispetto a quelle grandi, per cui si trovano costrette ad incrementare l’offerta sull’unica leva disponibile: la retribuzione monetaria». Non potendo giocare le carte di smart working, flessibilità ed equilibrio vita-lavoro, si apre il portafoglio. Basterà per tenersi stretti i migliori?

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