Deficit indomabile. Serve l’ok dell’Europa su 8 miliardi di spesa

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ROMA – Giorgia Meloni vuole 8 miliardi dall’Europa. Non un euro in meno, anzi la richiesta potrebbe essere addirittura ritoccata all’insù. In ogni caso non basterà a risolvere i guai della prossima Finanziaria, che di miliardi ne richiederà molti di più, circa 22-23 nelle stime appena abbozzate che iniziano a circolare in ambienti di governo.

A meno che, ma il contraccolpo sarebbe pesantissimo, la premier non decida di alzare le tasse, cancellando o riducendo il taglio al cuneo fiscale e all’Irpef che scade alla fine di quest’anno.

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Per capire perché a Palazzo Chigi già si parla di flessibilità, quindi di extradeficit per la manovra, bisogna partire dalla mossa che precederà la volontà di aprire, in estate, una trattativa con la nuova Commissione europea proprio per ottenere margini sulla legge di bilancio.

La carta da giocare subito si chiama Def “congelato”. Domani la presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti decideranno se procedere con lo schema concordato venerdì scorso, durante un faccia a faccia in cui è stata fissata la possibilità di approvare un Documento di economia e finanza con il solo quadro tendenziale, senza misure. E quindi uno scenario programmatico da inserire nei documenti di bilancio a settembre, in vista della manovra.

I conti pubblici

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Non sarebbe un inedito perché l’ultima Nadef del governo Draghi – era il 28 settembre 2022 – non definì gli obiettivi programmatici di finanza pubblica. Ma era un esecutivo dimissionario, che lasciò proprio al centrodestra in arrivo la paternità sull’indicazione della rotta.

Tra l’altro nelle ultime ore i tecnici del Mef, soprattutto quelli della Ragioneria, non avrebbero nascosto la loro contrarietà all’ipotesi di rinunciare a indicare i numeri del programmatico. Malumori che però al momento non sembrano aver scalfito l’impostazione “politica” che la presidente del Consiglio vuole dare al Def.

Anche se alla fine dovesse prevalere uno schema leggermente difforme, con i valori del deficit e debito nel quadro programmatico poco superiori a quelli del tendenziale, la seconda mossa del governo non muterebbe. Di miliardi, così, ce ne sarebbero al massimo tra due e quattro.

Giorgetti non è contrario al Def “monco”: lo scenario programmatico – è il ragionamento – non terrebbe conto delle nuove istruzioni sui conti pubblici che Bruxelles invierà all’Italia a luglio. Insomma i numeri rischiano di essere scritti sull’acqua, soprattutto verrebbe meno la possibilità di strappare flessibilità per la manovra.

È in estate che si giocherà la vera partita. La definizione della Finanziaria dovrà assorbire gli effetti del nuovo Patto di stabilità: sarà il primo atto del Piano fiscale di medio periodo che richiede una correzione del deficit strutturale dello 0,5% annuo.

Il governo potrà contare su uno “sconto” legato agli investimenti del Pnrr e ad altri fattori, ma dovrà fare i conti anche con la procedura per deficit eccessivo (il vulnus è l’indebitamento del 2023) che la Commissione Ue attiverà poco prima, a giugno.

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Un incrocio pericoloso che rende assai difficile per Meloni presentarsi in Europa per chiedere di aprire i rubinetti dell’extradeficit. Ma la richiesta è già stata messa in conto, con tanto di numeri. L’obiettivo per il 2025 è fissare il deficit tendenziale, in rapporto al Pil, al 3,6% e quello programmatico al 4 per cento. Eccoli gli otto miliardi da riversare poi nella manovra. Ma in questo modo la correzione del deficit strutturale si asciugherebbe sensibilmente, fino quasi ad azzerarsi, senza considerare la questione della procedura d’infrazione.

La premier conta però su un’Europa amica. Prima il Def asettico per non dare nell’occhio. O per lanciare un segnale.

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