Nuovi screening, pma, assistenza alle malattie rare: ecco cosa non potranno chiedere i pazienti alla sanità pubblica dopo il nuovo stop ai Lea

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La durissima protesta dei privati porta il ministero, e buona parte delle Regioni, a fare marcia indietro su una riforma attesa da anni e annunciata trionfalmente circa 12 mesi fa. Uno slittamento che tra l’altro renderà necessario trovare nuove risorse, cosa che pare molto difficile viste le politiche economiche sanitarie del governo di centrodestra. Non è un caso che proprio il Mef abbia provato ad opporsi alla proroga dell’avvio della riforma dei Lea, i Livelli essenziali di assistenza e cioè il minimo comun denominatore della sanità italiana, quelle prestazioni che tutte le Regioni sono tenute ad assicurare ai loro cittadini.

Cosa cambia per i malati

Dei nuovi Lea si parla ormai da anni. La riforma che nell’aprile del 2023 era stata annunciata trionfalmente dal ministro alla Salute Orazio Schillaci continua a slittare. Dovevano esserci novità importanti per chi soffre di malattie croniche e rare, per gli screening neonatali (che sarebbero aumentati), per la procreazione medicalmente assistita, per le cure per l’autismo o l’anoressia e anche per chi ha bisogno di protesi moderne. Tutte queste prestazioni, e anche altre, sarebbero dovute entrare nei Livelli essenziali di assistenza e quindi dovevano essere garantite gratuitamente a tutti i cittadini di tutte le Regioni già il primo gennaio scorso. Poi si è deciso uno slittamento al primo aprile, cioè a ieri, e infine lo Stato-Regioni ha proposto di partire a gennaio. Cosa succede? Che lo stato non fornirà gratuitamente prestazioni in più rispetto a quelle attualmente garantite. Si andrà avanti all’italiana, nel senso che in alcune Regioni, quelle del Centro-Nord principalmente, alcuni nuovi Lea vengono già offerti dal servizio pubblico (come ad esempio la procreazione medicalmente assistita in Toscana ed Emilia) mentre in altre, che non sono obbligate, sono in mano ai privati. Una situazione che alimenta tra l’altro l’emigrazione sanitaria.

Le pressioni dei privati (sostenuti dal Lazio)

Perché si è bloccato tutto? Con la revisione dei Lea (attesa da 6 anni), sono state stabilite anche nuove tariffe per le prestazioni sanitarie, quelle che tra l’altro vengono riconosciute ai privati quando svolgono un’attività in convenzione con il servizio sanitario nazionale. Nel progetto dei nuovi Livelli essenziali di assistenza c’era anche la riduzione del valore di prestazioni di laboratorio ma anche di tac e risonanze (che dovevano essere pagate circa il 30% in meno). Se introdurre nuove prestazioni sarebbe costato allo Stato di più, ridurre le tariffe dei privati avrebbe prodotto dei risparmi. I rappresentanti degli istituti di analisi e dei privati però hanno protestato molto duramente contro la riduzione dei guadagni. Alcune Regioni, in particolare il Lazio, hanno sposato la loro causa e hanno chiesto di rinviare l’applicazione delle nuove tariffe. Adesso si valuterà “una più ampia revisione delle medesime tariffe, assicurando nel contempo una graduale transizione al nuovo tariffario”.

Il Mef contrario al rinvio

Se le riduzioni saranno riviste andranno trovati i soldi. Sarà un problema per un governo che non è stato molto generoso con la sanità. Non è un caso che in un recente documento del Mef, pubblicato da Quotidianosanità, si sia cercato di bloccare il rinvio. Le Regioni avevano già inserito nei sistemi informatici le nuove tariffe. “L’ulteriore differimento dell’entrata in vigore dal 1° aprile 2024 al 1° gennaio 2025 – scrivono dal ministero all’Economica – comporterebbe non solo vanificare i costi degli adeguamenti informatici implementati finora da tutti i soggetti interessati, ma anche comportare eventuali ulteriori costi per non rendere operative le nuove modalità, mantenendo le procedure in fase di dismissione”. Il tutto per una riforma ormai attesa da anni, per la quale ci sono già stati stanziamenti economici.

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