Un viaggio da Trump: il piano segreto di Salvini per spiazzare la premier

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ROMA — Un viaggio negli Stati Uniti. Tra luglio e settembre, subito dopo le Europee. Per essere ricevuto da Donald Trump.

Ecco il piano riservato a cui lavora Matteo Salvini, confermato a Repubblica da fonti del Carroccio di massimo livello. Con discrezione, ma tenacemente. Una missione agevolata dal rapporto con l’ala Maga dei Repubblicani, su cui il leghista sta investendo tutto. Ma soprattutto, sfruttando il rapporto sempre più stretto con Elon Musk, che del tycoon è espressione diretta, manifestazione pubblica, ispiratore privato. È un progetto ambizioso. Che avrebbe un effetto fragoroso in Italia, ma soprattutto nel cuore del governo. Perché è evidente il bersaglio grosso a cui punta il vicepremier: sfidare Giorgia Meloni e scavalcarla nella relazione con Trump, facendole scontare l’investimento politico su Joe Biden.

Per comprendere la portata della mossa del vicepremier, bisogna analizzare quanto accaduto negli ultimi giorni. Il leghista si è prodotto in una vistosa retromarcia tattica. Ha rinnegato il patto con Russia Unita, ha evitato di invitare l’Afd all’internazionale nera, si è mostrato conciliante con Meloni — «gioca a burraco con la mia fidanzata Francesca, stiamo costruendo un’amicizia» — e ha addirittura concesso un’intervista al direttore di Libero Mario Sechi (che della premier è stato portavoce per qualche mese). Una ritirata che serve a non spaccare il Carroccio e a salvare la propria leadership: dovesse scendere sotto il 7% alle Europee, verrebbe scalzato dai colonnelli e dovrebbe lasciare la guida della Lega, aprendo il varco ad una segreteria di transizione affidata a Max Fedriga in vista del congresso d’autunno. Ma il leader leghista non si fida certo di Meloni. Ritiene semmai di essere vittima di una strategia ordita da Palazzo Chigi per ridurlo all’irrilevanza. E ha scelto di contrattaccare sfidandola su terreni che possono metterla in difficoltà: sul condono, battaglia cara agli elettori di destra, e sul fisco, dove la premier ha le mani legate per ragioni di bilancio. Con questo spirito, ha deciso di scavalcare la premier nel rapporto con Trump, grazie alla sintonia con Musk. Convinto che l’onda lunga del politico repubblicano possa rimetterlo al centro della scena.

Lo scambio di affettuosità su X avuto ieri con il fondatore di Tesla è l’ultimo tassello di questo piano. Ci sono almeno altre due date chiave, in questo percorso. La prima è il 16 dicembre 2023. Il ministro delle Infrastrutture riceve Musk nella sede del dicastero. Un’ora faccia a faccia, una foto di fronte al plastico del Ponte sullo stretto e la promessa di riaggiornarsi presto: «Il 2024 sarà un anno di grandi cambiamenti». Messaggio sibillino, ma neanche troppo. Promessa di collaborazione. Da quel momento, il vicepremier inizia a produrre una pioggia di tweet a favore di Trump. Ad ogni Stato conquistato nel corso delle primarie, un cinguettio. Per accendere un faro sull’inevitabile assenza dal dibattito di Meloni, che da presidente del Consiglio non può certo sbilanciarsi per il candidato repubblicano. E che anzi, avendo chiesto e ottenuto l’ombrello politico dell’amministrazione Biden per bilanciare i rapporti altalenanti con Parigi e Berlino, non può mostrarsi neanche lontanamente accondiscendente con il tycoon. Un altro passo è recentissimo, il 23 marzo scorso. Salvini invita alla kermesse di Identità e democrazia ex funzionari della Casa Bianca dell’amministrazione Trump. E mette in scaletta l’intervento di Vivek Ramaswamy, l’imprenditore statunitense già candidato alle primarie repubblicane e vicino a Trump. Ma non basta. Il leghista cerca voti facili. Non solo sul condono, ma su un tema caro alla Lega delle origini: l’autonomia. Premendo su Meloni, ha ottenuto che il prossimo 29 aprile il ddl approdi in Aula. Una forzatura, con l’obiettivo di ottenere il via libera definitivo prima delle Europee.

Non è detto che ci riesca, visti i tempi strettissimi e a causa della campagna elettorale che imporrà uno stop parlamentare. Non si può dunque escludere uno slittamento del voto finale. Che, in fondo, non dispiacerebbe neanche a Meloni.

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