Virus, ecco come avere più vaccini: la ricetta degli esperti

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ROMA – I contagi nel mondo corrono, le varianti aumentano. L’unica soluzione è vaccinare tutti il prima possibile. Già, ma come fare ad avere più dosi? C’è chi, come il virologo Roberto Burioni, cita la prima guerra mondiale. L’Inghilterra passò da una produzione giornaliera di 500mila pallottole al giorno a 50 milioni, convertendo anche le fabbriche di birra. Ma un vaccino, si sa, non è una bevanda. E difficilmente il coronavirus si farebbe battere da un tappo a corona.

Silvio Garattini auspica che si prendano in considerazione i vaccini russo e cinese. Il presidente dell’Istituto Mario Negri non è solo: anche la Germania la settimana scorsa ha annunciato che valuterà questi prodotti. L’Autorità europea per i medicinali (Ema) ha avviato contatti preliminari con Mosca per lo Sputnik, il vaccino locale. Ma anche lì i problemi di produzione non mancano. Non è detto che la Russia abbia dosi da venderci, mentre la Cina potrebbe non offrire un’efficacia sufficiente.

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Per molti paesi non occidentali, poi, le fiale venute dall’est rappresentano l’unica speranza concreta di erigere una barriera contro il Covid. Ecco allora che Cina e Russia, anche per ragioni strategiche, si stanno caricando sulle spalle le sorti dei paesi che hanno un Pil troppo basso per i costosi vaccini a Rna. Di loro si occupa anche Pune, in India, sede della fabbrica dei vaccini più grande del mondo: il Serum Institute, una macchina farmaceutica capace di sfornare un miliardo e mezzo di dosi all’anno che però sono riservate a Nuova Delhi e, in subordine, ai paesi in via di sviluppo. Inverosimile che bastino anche per noi.

Non manca chi suggerisce di abolire i brevetti. “Ma abbiamo a che fare con vaccini nuovi e nessuno ha la competenza per fabbricarli, se non chi li ha messi a punto” fa notare Guido Rasi, ex direttore dell’Ema, microbiologo all’università di Roma Tor Vergata. “Ammettiamo di poter sospendere un brevetto. Chi ci insegnerà poi a farli?”. Quel che allora sta accadendo, sull’onda dell’emergenza, è l’accordo fra le aziende. Chi ha il vaccino ma non ha abbastanza fabbriche si fa aiutare da chi ha le fabbriche ma non il vaccino. Si chiama produzione in conto terzi. “Coinvolge imprese rivali, ma che sanno riconoscere una situazione che può diventare vincente per tutti” spiega Rasi.

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Ha esordito Novartis, vendendo a Pfizer il suo stabilimento di Marburgo, in Germania e offrendole ospitalità in un altro impianto a Stein, in Svizzera. Sanofi, in ritardo di quasi un anno sul suo vaccino, presterà nel frattempo gli stabilimenti di Francoforte sempre a Pfizer, così come l’americana Baxter che ha uno stabilimento a Halle, in Germania. Di oggi è la notizia che la tedesca Bayer produrrà per la connazionale CureVac, un’azienda troppo piccola per poter coprire da sola il mercato europeo. L’Italia, con due grandi stabilimenti ben rodati nella produzione di vaccini, potrebbe mettere sul campo (ma per ora è solo teoria) la fabbrica Gsk di Rosia, in provincia di Siena, e quella Sanofi ad Anagni, nel Lazio.

Facile a dirsi, ma non a farsi. La stessa Novartis, che ha venduto Marburgo a settembre, caricherà le prime fiale sui camion in estate. “Un vaccino a Rna ha bisogno di impianti ad hoc, non si possono usare le linee esistenti. E ogni elemento della produzione, perfino i tappi delle fiale, deve essere ispezionato dalle autorità regolatorie e validato. I controlli sono rigidissimi” sottolinea Rasi. E anche lunghi. Quand’anche l’Italia si mettesse a fabbricare vaccini altrui, non se ne parlerebbe che fra sei mesi, a essere ottimisti.

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L’elemento Rna, poi, ha completamente sparigliato le carte. Da un lato ci ha offerto vaccini con un’efficacia assai più alta delle aspettative (intorno al 95% sia per Pfizer-BioNTech che per Moderna, quando la soglia minima richiesta era del 50%), facendoci sembrare prodotti di serie B tutti gli altri. Dall’altro ha introdotto nel settore dei vaccini un metodo produttivo completamente nuovo. Mai nessuno, prima d’ora, aveva mai fatto un solo vaccino così. Figuriamoci miliardi di dosi. L’Rna fino a ieri si usava in qualche laboratorio di ricerca, o per rari trattamenti di tipo pionieristico.

“Gli impianti tradizionali andrebbero completamente riconvertiti, per produrre vaccini a Rna” spiega Rasi. “Difficilmente si potrebbe fare senza un intervento dello stato”. Oppure dell’Europa, come già si ipotizza a Bruxelles. Investimenti pubblici in cambio di dosi: è in fondo quello che hanno fatto gli Stati Uniti in modo massiccio e la Germania su scala più ridotta con CureVac e BioNTech. Sarà disposta a farlo l’Italia con Rosia e Anagni?

Finora non si intravedono segnali del genere. C’è voluto quasi un anno perché lo stato decidesse di mettere mano al portafoglio per aiutare ReiThera, azienda che produce un vaccino completamente in casa, nel suo stabilimento di Castel Romano a sud di Roma. “Una decisione presa ora – fa notare Rasi – nel settore farmaceutico produce frutti solo dopo parecchi mesi”. Almeno fino all’autorizzazione di nuovi vaccini, in primavera, dovremo accontentarci delle pallottole che abbiamo.

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